Di tessuti italiani sono intesta alla classifica di gradimento dei compratori internazionali ma, mentre viene vista ancora con sospetto la produzione fatta dai paesi emergenti, continuano a perdere terreno sul mercato. Se si chiede ai grandi nomi dell'abbigliamento inglese, francese, spagnolo e americano se è ancora importante per loro comprare i tessuti che abbiano il marchio “made in Italy”, loro rispondono di sì. Gli stilisti stranieri dicono che non si riesce a lavorare con nessun altro così bene come con gli italiani. C'è un rapporto di collaborazione speciale.
Ma se ci sono ancora aziende fortemente legate all'acquisto di materia prima per fare i vestiti in Italia, ce ne sono altrettante che acquistano dalla Cina e non solo il tessuto. E intanto i bilanci dicono che i tessuti italiani continuano a perdere pesantemente terreno. E tutto ciò, oltre ai fattori macroeconomici, si riversa sui tessuti che negli ultimi tre anni hanno perso belle percentuali di fatturato e redditività.
Secondo uno studio fatto da Pambianco Strategie di Impresa su un campione di aziende, i produttori di Biella (che fanno lana di lusso) hanno perso il 18% in fatturato, quelle di Como il 13% e quelle di Prato il 21 %. In quanto a utile le prime nel 2003 hanno segnato un -1 %, quelli di Como un -1,8% e quelli di Prato sono andate in pareggio. «Nonostante tutto, quello del tessile è un settore sano, con un'industria ancora abbastanza solida e con una buona patrimonializzazione (rapporto tra patrimonio netto sul totale dell'investito), commenta il consulente della moda Carlo Pambianco, ma per uscire dalla crisi deve trovare strade nuove mentre in questi anni non hanno saputo interpretare le richieste del mercato ».
Estratto da Affari & Finanza del 24/01/05 a cura di Pambianconews