Ha un bel primato, Robert Polet, presidente e amministratore delegato di Gucci Group. Nelle prime settimane del suo incarico, cominciato nel luglio scorso, invece di rilasciare dichiarazioni e interviste, è salito in aereo e ha fatto il giro del mondo. E' stato in 12 Paesi nei cinque continenti, ha visitato 163 negozi, che equivalgono al 42% delle vendite, e parlato con oltre 2.500 persone, dai commessi ai direttori delle filiali fino ai superdirigenti. E' un metodo caldamente raccomandato dagli esperti di organizzazione del lavoro, come sa chiunque abbia una formazione teorica su questi temi, ma che raramente viene applicata.
«Dopo sei mesi concentrato all'interno dell'azienda, è arrivato il momento per il presidente di raccontarsi all'esterno», concordano i collaboratori più stretti, che citano come inizio di questa nuova fase la conferenza stampa del 14 dicembre scorso al British Museum di Londra, per illustrare alla comunità finanziaria il piano industriale del gruppo. Si attendevano sfracelli, dismissioni, annunci come quello lanciato da Patrizio Bertelli di Prada «porteremo la produzione dove costa meno, anche in Cina». Invece tutto è stato morbido, felpato, tranquillizzante. Il marchio della doppia G dovrebbe raddoppiare il fatturato in sette anni, toccando i tre miliardi di euro. Per le griffe in sofferenza, Alexander McQueen, Stella McCartney, Balenciaga, Sergio Rossi, è stato fissato l'obiettivo di pareggio nel 2007.
Bottega Veneta dovrebbe quasi triplicare il fatturato. Niente cifre per Yves Saint Laurent che, però, essendo un simbolo della Francia, gode di una particolare comprensione da parte dell'azionista, il gruppo parigino Ppr. Grande espansione verso l'Asia, ma soltanto di negozi. Però i manager assicurano che Gucci «non vedrà i propri prodotti fabbricati in Cina». Una strategia riflessiva, e non quella d'assalto che si aspettavano in molti. A conferma del passo meditato con cui Polet ha raccontato di volersi muovere. Anche se le sue esperienze professionali, all'interno di un universo di prodotti mass-market, hanno fatto storcere il naso a chi, per il lusso, riteneva fossero indispensabili formazione e trascorsi più sofisticati.
Estratto da CorrierEconomia del 20/12/04 a cura di Pambianconews