Essendo una società che ha nello stilista-fondatore il suo perno essenziale, già da tempo quella sulla successione è una delle domande più gettonate. Ma adesso che Giorgio Armani quei fatidici settant'anni li ha compiuti è diventata la domanda principale: che farà signor Armani? Oggi lo stilista-imprenditore risponde più o meno sempre alla stessa maniera: entro cinque anni (ma nel frattempo almeno un anno è già passato) deciderò cosa fare e le strade possibili sono due, quotazione in Borsa o ingresso in un grande gruppo.
In queste settimane si sono dì nuovo intensificate le voci di una effervescenza all'interno del gruppo: grande attenzione al fatturato, impegno ancor più deciso di prima al taglio dei costi, focus sulla visibilità del prodotto. Strategie anche normali in un periodo di mercato così difficile, ma che hanno fatto alzare le antenne a chi segue le vicende della moda. E si devono registrare anche le voci di una tensione tra lo stilista e il direttore generale Gianni Gerbotto per la visione di quest'ultimo, si racconta, troppo ancorata all'industria rispetto quella più focalizzata al mercato di Armani. Voci, va detto, che dalla casa di moda smentiscono.
In questi ultimi anni lo stilista ha fatto un grosso lavoro per dare una struttura forte al gruppo, puntando in due direzioni: verticalizzazione (la società oggi conta su 13 fabbriche e produce la stragrande maggioranza dei propri vestiti e accessori) e managerializzazione. Quest'ultimo era stato uno dei nodi più critici, reso evidente dalla brusca uscita, alcuni anni fa, di uno dei manager storici di Armani, Giuseppe Brusone. Ancora oggi rimane, però, un punto delicato essendo nota la volontà dello stilista di supervisionare con forza qualunque settore dell'impresa.
Estratto da CorrierEconomia del 8/11/04 a cura di Pambianconews