«La creazione di valore per un marchio della moda, oggi, dipende per due terzi dalla distribuzione e solo per un terzo dal processo produttivo». A sostenerlo è Silvano Storer che, manager di lungo corso del made in Italy, naviga da tanti anni nel mondo della moda.
Visto che paesi come Cina, India, Thailandia e Indonesia sono diventati “le fabbriche del mondo”, conviene che l'Italia si dia al marketing?
«Quei paesi hanno tecnologie sofisticate e enormi masse critiche che li portano ad avere servizi veloci, bassi costi nei processi industriali e nella manodopera. Perciò è fuori tempo pensare che la sfida della moda oggi si giochi sulla filiera e sul processo produttivo. Negli anni Settanta-Ottanta i marchi italiani hanno vinto con il processo industriale e con il prodotto. Negli anni Novanta-Duemila, invece, vincono con il marketing, la distribuzione e l'orientamento al consumatore. Il made in ltaly rimane importante, ma solo se è ancorato a creatività, tecnologia e processi innovativi.
Qual è la situazione europea?
Altri paesi hanno capito le esigenze del consumo prima dell' Italia e hanno messo in piedi un sistema distributivo in linea con i tempi, dove la grande distribuzione è leader. Hanno puntato sul prodotto-creatività cioè sulla comunicazione, sull'immagine del punto vendita e sul rispetto del consumatore che ha sempre meno soldi a disposizione per l'abbigliamento».
Estratto da Affari&Finanza del 13/09/04 a cura di Pambianconews