Dal palcoscenico scintillante delle griffe, Domenico De Sole è sceso venerdì 30 aprile: ufficialmente pensionato, ha raggiunto la sua casa di Hilton Head, vicino a Savannah, nella Carolina del sud. Ma di riposo si è preso appena un giorno: sabato 1° maggio, peraltro festa dei lavoratori in tutto il mondo. Già domenica era attaccato al telefono per affari, lunedì 3 maggio era in giro per gli Stati Uniti, mercoledì 5 a Londra, giovedì 6 a Milano.
Si parla di crisi, ma il lusso in questi anni ha reso bene. Lei lascia la Gucci con un piccolo tesoro, una quarantina di milioni di dollari, solo esercitando le sue ultime stock option.
So che c'è un grande dibattito in proposito, alcune grandi aziende fanno marcia indietro, sull'onda di casi di arricchimenti enormi a fronte di pessimi risultati societari. Io, a costo di andare controcorrente, sono convinto che le stock option restino il mezzo migliore per incentivare i manager. E poi, nel caso del gruppo Gucci, è andata bene a tutti. Azionisti in testa.
Ma quei soldi lei oggi li investirebbe nel lusso?
Io sono ottimista sul settore, che ha passato due anni terribili ma ora sta facendo bene, soprattutto negli Usa, in Giappone e in Asia. Certo, l'Europa fa fatica, ma diciamolo chiaro: se gli europei nella moda hanno gusti più sofisticati, i conti dei colossi del lusso da tempo non si fanno nel Vecchio continente.
Punterebbe sul made in Italy?
Non a caso con la Gucci facevo produrre tutto in Italia. In questo settore il made in Italy ha aziende di prestigio mondiale e un valore speciale presso i vecchi clienti europei e americani ma soprattutto presso i nuovi ricchi. E qui penso anzitutto agli asiatici ai cinesi, destinati a dieci anni a diventare il mercato più importante.
Che consiglio darebbe a un giovane manager brillante che vuole far carriera nell'industria del lusso?
L'Italia è un paese in cui quasi tutte le aziende sono dominate dall'imprenditore, quindi io punterei sull'America, dove la classe manageriale ha un ruolo e un potere consolidato.
Al suo posto è stato chiamato Robert Polet, responsabile mondiale dei gelati e surgelati dell'olandese Unilever, mentre in Lvmh come amministratore delegato c'è Toni Belloni, ex Procter & Gamble. Un caso o una tendenza che il lusso chiami uomini del largo consumo?
Non credo a una tendenza. La realtà è che le aziende che funzionano da grandi scuole di management non sono molte, e senza dubbio la P&G, ma probabilmente anche l'Unilever, è una di queste.
E Tom Ford?
Ci sentiamo, siamo amici, passeremo insieme le vacanze.
Come mai ha deciso di vivere nella Carolina del sud?
Per rispettare una promessa fatta a mia moglie Eleanore: parte della sua famiglia è di quelle parti. E poi Hilton Head è un luogo magnifico. Ci ho comprato la prima casa vent'anni fa e ora ne sto costruendo una nuova, proprio sull'oceano. Ma da bravo “emigrante” ho l'Italia nel cuore. E guardo con piacere alla sua nuova classe dirigente imprenditoriale, di cui ho molta stima.
Qualche nome?
Penso a Marco Tronchetti Provera, a Diego Della Valle, a Luca Cordero di Montezemolo. Ma potrei continuare.
Estratto da Panorama del 28/05/04 a cura di Pambianconews