Mister Geox parte da una provocazione. Lui del brevetto ha fatto un'arte economica, grazie ad un'idea ed alla tutela di questa idea ha creato un'azienda che cresce a ritmi del 30% l'anno ed oggi ha più di 5.000 dipendenti nel mondo. «Prendiamo esempio dagli altri dice Mario Moretti Polegato, presidente dell'azienda calzaturiera trevigiana, guardiamo agli Usa. Loro da sempre hanno fatto ricerca applicata alla difesa, una ricerca che ha trovato applicazioni di straordinaria portata in tutti i campi, dalle telecomunicazioni all'informatica. In Italia esiste una ricerca nell'ambito della difesa, e se c'è cosa sta facendo, cosa può dare al Paese»?
Presidente, cosa c'è dietro alla lunga latitanza dell'Italia sul fronte della tutela della proprietà intellettuale?
Non posso che dirmi rammaricato per il fatto che oggi, in Europa, siamo al terzultimo posto per deposito di brevetti, prima solo di Portogallo e Grecia. La contraffazione che invece ci vede protagonisti è solo la logica conseguenza del non uso dei brevetti. II problema è che non basta creare, noi siamo fra i più fecondi al mondo su tale fronte ma non tuteliamo questo nostro patrimonio. Probabilmente la maggior parte delle aziende non sa neppure che esistono tre livelli di brevetto, quello di invenzione che dura vent'anni, quello di utilità che migliora un qualcosa che già esiste e dura dieci anni, e quello relativo al design che può coprire un arco di 25 anni. La fortuna di Geox sta nell'aver saputo usare al meglio questo strumento.
Ma chi è chiamato a guidare questo cambiamento?
In primo luogo le associazioni di categoria, dagli industriali agli artigiani, ai commercianti. Poi c'è la scuola che deve essere più vicina alle aziende anche su questi temi con un trasferimento di cultura tecnica. Ma pure i sindacati vanno coinvolti in questo processo, così come le banche che devono cominciare ad analizzare e a finanziare proposte basate sulla creatività accettandone anche i rischi. E naturalmente deve scendere in campo la classe politica, finora miope su una scienza e su una ricerca che può anche non essere solo quella ufficiale delle Università e dei laboratori ma può venire dal basso, dall'esperienza. La stessa integrazione europea deve aiutarci a crescere in questa direzione, dobbiamo utilizzare al meglio quanto fanno e conoscono i nostri partner.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 14/05/04 a cura di Pambianconews