«II mondo del made in Italy si è trovato a essere meno competitivo e troppo poco veloce», osserva Carlo Pambianco, presidente di Pambianco Strategie di Impresa, società di consulenza specializzata nella moda e nel lusso. «Mentre gruppi della fascia media e medio-bassa del mercato hanno saputo aggiungere ai prezzi contenuti, al servizio veloce, alle collezioni multiple, alle spedizioni settimanali, tradizionali punti di forza, valori rubati alla fascia più alta: prodotti moda, glamour, un certo tipo di comunicazione». Chi ha la marca tuttavia si è difeso. Mentre chi per competere aveva soltanto il prezzo, vale a dire la massa delle medie aziende di produzione, anche nella moda, è in difficoltà. Ma anche tra i grandi nomi il passaggio attraverso la congiuntura avversa non è stato né indolore né uniforme. Ecco alcuni esempi significativi.
Affronta un'ulteriore caduta dei ricavi Versace, che pure con l'aiuto di Banca Intesa sta mettendo sotto controllo l'indebitamento. Il fatturato dovrebbe scendere da 480 a 420 milioni circa. Un destino parallelo, pur in situazioni aziendali differenti, accomuna Valentino e Ferré: acquisite da grandi gruppi produttori, Valentino da Marzotto e Ferré da Ittierre, si sono trovate in ritardo sul rilancio dopo difficoltà comunque precedenti all'evoluzione internazionale che ha frenato il Made in Italy negli ultimi anni: qui la crisi di mercato ha soltanto rallentato il percorso. Qualche battuta d'arresto è toccata a Ferragamo, azienda che nell'impostazione conservativa (i tentativi di innovazione del prodotto non hanno avuto grande successo) ha tuttavia trovato nella fase avversa elementi di robustezza; peraltro garantita dalla solidità patrimoniale e dalla saldezza della guida familiare.
Ha giocato a lungo in difesa, adeguando la strategia e lavorando su costi e ricavi sino all'attuale inversione di tendenza, il gruppo Prada. Ora, con la ristrutturazione dell'indebitamento e alcuni smobilizzi (ridotta la quota di Church's, scarpe), in presenza di un aumento dell'utile e di buoni margini nel 2003, con il ritorno della prospettiva della quotazione, quella di Prada sta diventando una storia di turnaround. Si è difeso anche il gruppo Benetton, che però negli ultimi anni è rimasto quasi fermo, con un prodotto forse un po' invecchiato, mentre catene come la spagnola Zara o la svedese H&M, esempi globali del salto di qualità dalla fascia più bassa del mercato, crescevano a ritmi da 20% all'anno. Risultato: Benetton ancorato a circa 2 miliardi di euro di fatturato, Zara balzata a 4 miliardi e H&M addirittura a 5.
Provano il rilancio, con due percorsi distinti, due marchi legati soprattutto al tennis che avevano recitato una parte di rilievo nell'espansione internazionale del Made in Italy prima di un lungo declino: Fila e Superga. La prima, dopo anni di forti difficoltà, è ora nelle mani del fondo americano Cerberus, che si è dato cinque anni per riportare il brand agli antichi splendori. Mentre Superga, come licenza mondiale, è stata affittata (con opzione di acquisto) dalla quotata Basicnet, che aveva già Robe di Kappa e ha preso anche Superga.
Vedi tabella che segue
Estratto da Il Mondo del 23/04/04 a cura di Pambianconews