Armani è l'unica, tra le società italiane del lusso con un fatturato superiore a 1 miliardo di euro, ad avere un utile netto che superi il 10% del giro d'affari. Un dato che unito a un fatturato pressoché stabile e a profitti netti in crescita, in un momento di difficoltà economica come quello attuale, è indice di una grande coerenza di gestione. E ad alte capacità imprenditoriali. Il merito di questo successo è da ricercare nelle strategie adottate, che si articolano prevalentemente lungo tre grandi direttrici: un'integrazione verticale delle attività, una politica di distribuzione diretta (negozi monomarca), una forte diversificazione di prodotto.
L'integrazione verticale del business ha spinto Armani a spostare all'interno dell'azienda la produzione, soprattutto dei prodotti di abbigliamento (prime e seconde linee), per garantire qualità e servizi migliori ai suoi clienti. Recentemente la maison milanese ha cominciato a controllare direttamente anche il business delle calzature (acquisendo un'azienda) e della pelletteria. Un settore che, nell'ultimo anno, è cresciuto del 34%. Lo stilista però non controlla solo la produzione, ma anche la vendita dei prodotti. Che ha diversificato dando in licenza a terzi altre attività interessanti come calze, occhiali e profumi, più difficili da gestire in prima persona. Infine ha messo a segno un altro bel colpo decidendo di entrare nel mondo degli alberghi con un partner facoltoso, la Emaar, partecipata al 30% dal governo di Dubai, che nei prossimi anni investirà 1 miliardo di euro nella costruzione di 10 alberghi di lusso di cui uno a Dubai (già in fase di attuazione) e uno a Milano.
Tre tasselli, dunque, di una strategia legata sempre alla notorietà del marchio e del nome. Un elemento su cui Armani da tempo ha scommesso moltissimo e investito risorse. E il prossimo passo è la Cina. Come altre case di moda tra cui Ermenegildo Zegna, anche Giorgio Armani ha capito che Pechino sarà il mercato del prossimo futuro. E, con l'apertura del primo negozio a Shanghai, è iniziata la campagna di conquista.
Estratto da Economy del 16/04/04 a cura di Pambianconews