II distretto calzaturiero marchigiano fa i conti con la crisi. In una sessantina di piccoli comuni tra le province di Ascoli Piceno e Macerata si concentra un terzo dei calzaturifici italiani, vale a dire il 30 per cento della produzione nazionale di scarpe. La conferma della crisi arriva anche da Unioncamere, secondo infatti i dati consuntivi nel 2003, nelle Marche hanno chiuso 302 imprese di calzature, contro le 190 che hanno invece avviato l'attività. La produzione è diminuita del 5,3 per cento, gli investimenti hanno coinvolto solo il 9,8% delle aziende operanti, mentre l'occupazione ha fatto registrare un calo del 3,2 per cento. A subire le conseguenze della congiuntura negativa sono, soprattutto, le realtà più piccole che non riescono a fronteggiare i prezzi più bassi proposti dai concorrenti cinesi e da altri Paesi asiatici. Resistono solo i grandi marchi come Tods, Paciotti e Fornarina tutti leader di mercato nei rispettivi segmenti.
«Subiscono il colpo soprattutto le aziende minori, dichiara Giovanni Lucani della Lusi di Fermo, che negli ultimi anni non sono cresciute sul piano della cultura imprenditoriale». Per rilanciare il comparto si guarda all'estero, nonostante si sia registrata una diminuzione dell'export (-13%) nei primi nove mesi del 2003 a fronte di una crescita dell'import del 5,6%. Il saldo della bilancia commerciale resta ancora saldamente in attivo (1,3 miliardi di euro di uscite, contro 411 milioni di entrate), ma preoccupa il crollo delle vendite che ha riguardato soprattutto la Germania (-30,6%) e gli Usa (-19,4%).
«Per riprendersi è necessario puntare sui nostri marchi, costituire consorzi e formare le giovani leve, sostiene Luigi Silenzi responsabile Cna Marche per il settore calzaturiero, perché il nostro prodotto funziona ancora. Di fronte alla crisi ci stiamo rimboccando le maniche, cercando di conquistare nuove opportunità e puntando sull'innovazione e sulla qualità».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 14/04/04 a cura di Pambianconews