Il 2003 si è rivelato un anno travagliato per la filiera pelle del sistema moda italiano. La conceria italiana, in analogia con quanto avvenuto per �il monte� del sistema moda, ha continuato a registrare risultati negativi, stretto fra una netta flessione delle esportazioni e una ridotta capacità di assorbimento dei settori clienti italiani.
Nei dati ufficiali Istat, tuttavia, la flessione complessiva registrata nell'attività produttiva, grazie al recupero avvenuto nella seconda parte dell'anno, è limitata a 3,3 punti percentuali. Un risultato significativamente migliore rispetto a quello che ha caratterizzato gli altri comparti a monte (segnatamente quelli tessili) del sistema moda.
La conceria Made in Italy � caratterizzata da circa 2400 aziende per complessivi 30 mila addetti � ha invece ottenuto risultati più pesanti sul piano delle vendite: il calo di fatturato complessivo del 2003 è infatti risultato del 8,4% ed ha portato il valore complessivo delle vendite settoriali a scendere sotto quota 6 mld. di euro. Il differenziale fra l'evoluzione dell'attività produttiva e quella del fatturato evidenzia il tentativo delle aziende – in un contesto di domanda estera debole e di riduzione nella capacità di assorbimento dei settori clienti in Italia – di difendere le proprie quote di mercato, anche a costo di rilevanti sacrifici sul fronte dei margini lordi.
Il dettaglio dei flussi di commercio estero per paese mostra, a consuntivo del 2003, flessioni significative (-16,8%) nei flussi in uscita. Nove dei dieci maggiori mercati di sbocco per le aziende italiane (che lo scorso anno hanno realizzato all'estero circa il 55% del proprio fatturato) si sono mostrati in flessione ed in alcuni casi si è assistito a vere e proprie cadute verticali. I flussi diretti ad Hong Kong (primo mercato estero di riferimento e snodo commerciale per numerose triangolazioni che interessano, tra l'altro, il colosso cinese) si sono ridotti del -9,4%, marcando comunque un sensibile recupero rispetto ai cali superiori al 30% che avevano caratterizzato il primo semestre dello scorso anno.
Flessioni abbondantemente superiori al 20% hanno poi interessato Stati Uniti, Spagna Germania e Francia che complessivamente assorbono circa un quarto delle esportazioni di pelli Made in Italy.
Significativamente, gli unici mercati verso i quali le aziende italiane hanno mantenuto sostanzialmente inalterati i flussi di esportazione sono risultati la Romania (-3%), la Cina (0,3%) e la Polonia (-1,2%), ovvero i paesi in cui è più forte la presenza produttiva delle aziende italiane del �valle� della filiera pelle (calzature, pelletteria ed arredamento).
Per quanto riguarda i flussi in entrata, se nel 2002, il Brasile (maggiore fornitore dell'industria nazionale) aveva mostrato di riuscire a �tenere le posizioni� nel mercato ita-liano nonostante una congiuntura sfavorevole, lo scorso anno il paese latino-americano ha visto ridursi di quasi il 17% il proprio fatturato �italiano�, contribuendo in misura determinante al risultato complessivo (-22,2%) registrato per i flussi in entrata. Anche in questo caso l'unico dato in significativa controtendenza � rispetto al quadro ribassista prevalente � fa riferimento agli Stati Uniti dai quali l'industria della trasformazione italiana (favorita sul fronte dei cambi) ha incrementato del 7,4% i propri acquisti.
Il contributo negativo all'attività settoriale proveniente dagli scambi con l'estero non è stato compensato dalle fonti interne di domanda. La produzione italiana di calzature ha accusato una flessione del -5% in valore (ma nei quantitativi prodotti il cedimento è risultato del -7,1%) e cali dell'ordine del -4% hanno interessato anche la pelletteria.
Anche l'inizio del 2004 non si prospetta facile: ancora a fine 2003, l'ISTAT misurava una flessione tendenziale prossima al -15% per gli ordinativi. Nonostante i chiari segnali di recupero nella capacità di assorbimento dei mercati asiatici e degli USA, infatti, la ripresa delle esportazioni della conceria Made in Italy è fortemente limitata dal rafforzamento dell'euro. Nei mercati Europei, inoltre, in tutti i settori del sistema moda, non si intravedono ancora chiari segnali di inversione di tendenza.