«Il design e la qualità ormai sono scontati, oltre ai prodotti bisogna innovare anche il modo di produrre, per tagliare i costi e accrescere la produttività», sostiene Ernesto Gismondi, presidente e fondatore di Artemide, azienda che dal '59 produce lampade di design, con sede a Pregnana Milanese, due fabbriche in Italia, una in Germania, una in Ungheria e una in Usa, per un giro d'affari di 100 milioni di euro. L'altra chiave per salvare il made in Italy, sottolinea l'imprenditore, è l'internazionalizzazione: «Non dobbiamo avere paura di andare a produrre in Cina, se vogliamo vendere i nostri prodotti a un mercato cinese affamato del #'bello'' italiano».
La Banca d'Italia segnala una caduta verticale del made in Italy sui mercati mondiali negli ultimi otto anni. Dottor Gismondi, che cosa succede?
«Le statistiche del nostro Governatore raccontano solo una parte della realtà. La situazione è a macchia di leopardo: alcuni settori cedono, altri sono in grande espansione. I prodotti per la casa vanno molto bene, ci sono isole felici nella moda e cresce molto anche il food italiano».
Però il sistema Italia perde colpi.
«è l'economia globalizzata: l'abbattimento delle frontiere e la liberalizzazione realizzata senza avere imposto regole comuni mettono tutta l'Europa sotto pressione».
Qual è l'aspetto più pericoloso per le imprese?
«La mancanza di protezione della proprietà intellettuale: è quasi nulla in tutta l'Asia, ma soprattutto in Cina. Oggi i cinesi ci copiano splendidamente e poi vengono in Europa a vendere i prodotti copiati a prezzi irrisori».
Dovrete abbassare i prezzi?
«L'unica salvezza è continuare a investire in qualità e design, perché l'innovazione del prodotto continua a fare la differenza, ma da sola non basta più. Perciò dobbiamo investire in nuove tecnologie per innovare anche i processi e riorganizzare la produzione per ridurre i costi. Noi investiamo ogni anno il 4,5% del fatturato in R&D. Il nostro impianto di verniciatura è totalmente automatico, così come quello laser».
Esportate in Cina?
«Nel 2003 Artemide ha esportato per un controvalore di 1,3 milioni di dollari, ma si potrebbe fare molto di più. Ci sono difficoltà burocratiche. Tutte le lampade hanno bisogno della certificazione cinese, al momento abbiamo alcuni container di merce fermi in dogana in coda: prima di noi ci sono 16.000 domande. La verità è che bisogna andare a produrre in Cina per vendere ai cinesi, il mercato di chi compra prodotti di qualità e sceglie il made in Italy è in costante crescita. Per ora siamo in trattativa per aprire il nostro primo negozio, a Shanghai».
Estratto da Corriere della Sera del 17/03/04 a cura di Pambianconews