Giovanni Burani, amministratore delegato del gruppo che porta il nome della madre, la stilista Mariella, si muove ormai da tempo tra moda e finanza. Nella moda ha fatto diverse acquisizioni, l'ultima nella distribuzione con l'austriaca Don Gil. Nella finanza ha tessuto alleanze con uomini come Matteo Arpe di Capitalia ed Emilio Gnutti della Hopa.
Si discute se i poli multimarca siano stati un bene per il settore: hanno portato debiti e le sinergie ancora non si vedono con chiarezza. Burani sembra fare un po' eccezione.
«Intanto, siamo stati molto attenti ai multipli pagati, sempre ragionevoli. Poi, abbiamo mantenuto alla conduzione dell'azienda gli imprenditori diventati nostri partner e il management già presente. Ancora, abbiamo cercato di capire prima dell'acquisizione se era possibile integrare le nuove aziende nel gruppo e non abbiamo mai rilevato società in turnaround, se si esclude Mila Schon. Infine, abbiamo preservato l'individualismo delle aziende: è una caratteristica spesso vincente».
Produrre in Italia o all'estero: dove vi collocate?
«Facciamo il 90% del nostro prodotto in Italia. Per adesso, perché non escludo che in futuro questa percentuale si riduca, si tratta di capire l'evoluzione del mercato. Ma in ogni caso prodotti di un certo livello devono essere fatti qui, è da escludere che noi possiamo fare fuori dall'Italia la parte più importante del nostro prodotto».
Come vede il mercato oggi?
«Non è un momento facile. Ma bisogna cercare di infondere maggior ottimismo e in questo credo che i media abbiano un ruolo fondamentale per il nostro Paese. E' essenziale per far ripartire il Paese. Tra i mercati, gli ultimi dati sulla crescita in Europa sono negativi, mentre la nuova Europa mostra tassi molto importanti, la sola Russia ha avuto un aumento del Pil lo scorso anno dell'8%, abbiamo molte opportunità, tra l'altro gli imprenditori italiani sono già là».
Le stime per quest'anno indicano in 430-440 milioni di euro il vostro fatturato. E' la dimensione ottimale?
«La soglia critica per avere delle vere economie di scale e un peso contrattuale importante è tra i 150-200 milioni: da lì in poi non c'è alcuna ricetta particolare».
Il cambiamento del consumatore come sta influenzando le aziende?
«II top del lusso è presidiato da alcuni ai quali rubar quote è difficilmente ipotizzabile. Lo spazio è nel lusso accessibile, dove conta la capacità di industrializzare il prodotto. Ma ci vogliono aziende con una storia trentennale, capacità di comunicazione, prodotti forti, investimenti già fatti nella distribuzione e costi di struttura bassi».
Estratto da CorrierEconomia del 8/03/04 a cura di Pambianconews