è vero che il dollaro debole penalizza il nostro export, ed è altrettanto vero che le oscillazioni dei cambi creano problemi alle aziende. Ma non è vero che gli imprenditori hanno le armi spuntate, almeno quelli che cercano di posizionarsi sul mercato puntando sulla tecnologia e sulla delocalizzazione. Mario Moretti Polegato, imprenditore calzaturiero, non è pessimista neanche sulla capacità delle imprese italiane di reagire alle difficoltà dell'economia: «La crisi c'è, afferma, ma è una crisi di crescita: se ne può uscire facendo le mosse giuste». «Chi esportava negli Stati Uniti negli ultimi mesi aveva due possibilità – afferma – a causa del dollaro debole o perdeva soldi se manteneva inalterato il prezzo finale, oppure alzava il prezzo e perdeva quote di mercato. Insomma, le aziende o andavano in rosso o uscivano dalla competizione».
E voi che cosa avete fatto?
«Né una cosa né l'altra: noi esportiamo prodotti che hanno una tecnologia esclusiva protetta da un brevetto, anche nelle scarpe si può fare innovazione, siamo gli unici a fare questo prodotto. Inoltre siamo riusciti a gestire il basso valore del dollaro attraverso la produzione delle nostre scarpe che viene fatta su licenza in Messico. Noi per quel mercato ci affidiamo alla più grande azienda messicana del settore: così abbiamo preso parte della loro produzione e l'abbiamo esportata negli Usa senza subire la penalizzazione dei cambi perché il Messico fa parte della zona dell'accordo commerciale Nafta, a cui aderiscono gli Stati Uniti. Se un'azienda si basa su dei brevetti e produce in più Paesi, è in grado di difendersi dai problemi di cambio».
L'altra faccia della situazione è l'economia italiana che non si riprende.
«La crisi dei consumi e delle imprese non è solo italiana: magari lo fosse. è un problema di molti Paesi ricchi e ha radici nella globalizzazione: il mercato più ampio vuol dire anche più competizione da parte di Est Europa, Asia, Cina. Non possiamo tornare alle barriere doganali. E allora come rilanciare l'economia? In Italia l'industria è vecchia, non c'è più spazio per le imprese di trasformazione: dovrà nascere un'industria intelligente che conserverà qui solo il marketing, la progettazione e la ricerca. Il resto sarà delocalizzato. Se il cervello resta qui non succede nulla. In Usa la Nike, il più grande produttore di calzature, ha tremila ingegneri vicino a San Francisco, ma la produzione è fatta in tutto il mondo: ha la testa in America e i piedi nel mercato».
Lei così dice che le aziende italiane devono delocalizzare.
«La crisi si supera investendo di più sul marketing aziendale, facendo conoscere i propri prodotti, facendo formazione (tutti ne parlano, ma nesuno la fa) e ricerca che porti a soluzioni innovative che possano essere brevettate. Poi le produzioni si possono fare altrove, l'importante è che il valore aggiunto resti in Italia».
Estratto da Il Giornale del 4/03/04 a cura di Pambianconews