«Sono venti minuti in cui ti giochi tutto, la sfilata serve a trasmettere un'immagine, un sogno, una filosofia. Rinunciare alla sfilata è impossibile. Costa ma rende moltissimo». Dolce e Gabbana sostengono, a spada tratta, la sfilata come momento di grande promozione di un marchio. «Lo spettacolo della passerella non si tocca, dicono, per razionalizzare i costi di una collezione bisogna seguire altre strade. Trattare con i fornitori dei tessuti, snellire il processo produttivo e quindi rendere i prezzi più concorrenziali. Risparmiare si può, senza però sacrificare la sfilata». Milano celebra la settimana della moda, una edizione che fa i conti con una situazione mondiale problematica, sia sul fronte politico che economico. I consumi sono rallentati e anche se i soldi non mancano, la voglia di shopping si è assopita.
Ma come si riflette la crisi internazionale sulle sfilate e quali stratagemmi mettono in atto gli stilisti per rilanciare il business della moda? Il panorama milanese mostra una grande vitalità, una varietà di proposte e di iniziative. La stretta economica ha, in qualche modo, incentivato la fantasia degli stilisti. La crisi c'è ed è innegabile, ma la capacità di reagire è altrettanto forte. «La nostra arma vincente, spiegano da Ferrè è stata quella di rivedere i listini prezzi, ben prima che scattasse la fase di indebolimento del dollaro e questo ci ha consentito di affrontare la crisi senza perdere posizioni nei mercati ove gli acquisti si effettuano con la moneta americana. E rispetto alla precedente stagione prevediamo incrementi delle vendite, con punte del 30 per cento in alcune aree. Ecco perché il nostro atteggiamento è improntato a un ragionevole ottimismo».
La moda ha una capacità di reazione fortissima. «Chi si ferma è perduto, spiega Rocco Barocco, in un momento come questo è importante stuzzicare l'attenzione dei compratori presentando un bel prodotto, di altissima qualità ma con costi contenuti. Non solo. II prodotto deve essere ricercato, difficile da copiare e dunque con quel valore aggiunto dell'inimitabilità». Anche Alberta Ferretti considera il momento della sfilata una tappa fondamentale per comunicare «un sogno, una magia e l'evoluzione del proprio stile». Ma, aggiunge, «tutto questo implica anche una grande attenzione alle precollezioni, che devono essere presentate ai buyer in tempi sempre più stretti e ravvicinati». «La forza degli stilisti italiani, aggiunge Krizia, sta comunque nel fatto che hanno, da sempre, privilegiato il prodotto allo show da passerella. E' una concretezza questa che alla fine paga».
I budget si restringono e, come spiega Alviero Martini, «bisogna far buon viso a cattivo gioco. Vale a dire: meno scenografie ai défilé e più abiti anti-crisi, quelli che fanno vendere». Una politica questa che per Antonio Marras si traduce nello slogan «unicità nella serialità, con capi fatti a mano, uno diverso dall'altro», mentre per Paolo Gerani il segreto per conquistare il cliente sta «nel fare in modo che tutti i pezzi della collezione abbiano un'anima coerente, dall'abito da sera alla t-shirt, per arrivare sul mercato con un'offerta intelligente e vera. La furbizia non paga».
Estratto da Affari & Finanza del 23/02/04 a cura di Pambianconews