La famiglia da tre generazioni si identifica completamente con l'azienda e ha creato un brand tra i più prestigiosi dell'abbigliamento sartoriale maschile. La struttura apparentemente rigida della Canali, la crescita pigra, l'accentramento produttivo e il mancato ricorso a licenze potrebbero far storcere il naso a qualche moderno analista ma l'azienda è una oliata macchina da soldi: è la più profittevole nelle classifica del lusso stilata da Pambianco Strategie di Impresa, davanti a Tod's, Bulgari e Armani. Nel 2002 l'utile netto è risultato pari al 10,1 % dei ricavi. Canali è guidata da Eugenio (amministratore unico) con i fratelli Giuseppe e Genesio. Ma in azienda è coinvolta tutta la terza generazione: dieci tra fratelli e cugini. La Canali spa è controllata interamente dalla Canali Lux s.a. In Italia la società di Sovico controlla sette stabilimenti, tra Brianza, Marche e Abruzzo, tutte impegnate nel total look maschile.
Qual è business model vincente di Canali?
«Innanzitutto, osserva Paolo Canali, direttore marketing e membro della famiglia, una gestione industriale dell'abbigliamento formale completamente accentrata all'interno dei nostri sette centri produttivi: siamo gli unici nella nostra fascia ad aver fatto questa scelta che sul lungo termine si è rivelata vincente. Abbiamo 1.500 addetti e ogni giorno produciamo 1.400 abiti, 1.600 pantaloni, tutti rigorosamente sartoriali».
E nello sportswear?
Ci affidiamo alle produzioni esterne, mantenendo però in azienda la parte creativa, l'approvvigionamento, la distribuzione e là vendita. Tuttavia anche per lo sportswear utilizziamo gli stessi tessuti e la stessa qualità.
Quali sono state le vostre scelte nel retail?
Da quattro anni puntiamo sul franchising nei negozi monomarca di qualità: ne abbiamo in tutto il mondo, da Miami a Pechino, da Kuwait city a Londra. Ma abbiamo anche negozi di proprietà. La nostra vocazione internazionale è confermata dal 75% di export.
C'è un limite alla crescita nel formale maschile: come pensate di superarlo, con le acquisizioni?
Non ci pensiamo affatto: vogliamo invece crescere, oltre che nei Paesi emergenti, in Australia, in Sudamerica e intendiamo consolidarci nel Far East. Senza contare che un mercato cosi difficile tende ad espellere i competitor marginali e questo crea spazi aggiuntivi di crescita.
Com'è stato il 2003 di Canali?
In sostanziale tenuta, grazie alle scelte strategiche fatte in precedenza. Per esempio negli Usa, che rappresenta il nostro maggiore mercato con circa il 35% dei ricavi, abbiamo avuto vendite stabili, con miglioramenti in certi prodotti.
Vedi tabella che segue
Estratto da Il Sole 24 Ore del 23/02/04 a cura di Pambianconews