Piagata da anni di stagnazione, nei quali la crescita stentata del prodotto interno si è accompagnata a una tendenziale deflazione l'economia giapponese appare un caso da manuale di impasse strutturale. Sui problemi di matrice interna si sono innestate le ripercussioni della crisi asiatica del '97-98 e quelle occidentali del post 2000. E nel frattempo i cinesi hanno cominciato ad attrarre in modo massiccio investimenti produttivi, sottraendo posti di lavoro e indotto anche agli stabilimenti del vicino Sol Levante. Eppure per il Giappone si può parlare di crisi quanto si vuole, ma i suoi abitanti, nonostante qualche passeggera esitazione, restano in assoluto al mondo i maggiori acquirenti di prodotti lusso-moda. Praticamente un terzo del giro d'affari delle prime 12 maison mondiali del lusso.
«Il contesto giapponese è molto uniforme e la spesa rappresenta uno dei pochi ambiti nei quali è possibile personalizzare i propri comportamenti, distinguendosi così dalla massa. Spesso, quindi, il prodotto di lusso si traduce in una scappatella di status», ipotizza Carlo Pambianco, consulente del lusso made in Italy. Pur con i suoi indesiderati effetti collaterali, l'uniformità sociale è un dato di fatto e l'esigenza di un sogno (certamente anche materialista) pure come è anche indubbio che i giapponesi diano importanza allo status e alle sue simbologie.
Nel caso specifico dell'offerta europea, che è quella prevalente, di prodotti di lusso, tutto quanto sopra sembra trovare a suo volta un congeniale corollario. «Per i giapponesi l'Europa è un mito che fa sognare e che a molti offre un'evasione dalle rigidità e dal conservatorismo del Sol Levante», afferma Antonella Pillitteri, fondatrice della milanese Ghisò. «La storia e la tradizione dei nostri marchi aiutano molto», aggiunge Alessandra Bettari, a capo della filiale giapponese di Furla che insieme a Pambianco rileva per diverse aziende europee anche l'atout di sapersi declinare sul versante moda.
Estratto da Espansione del 11/02/04 a cura di Pambianconews