Adesso tocca a Biella, «l'ultimo bersaglio», come scrive il Wall Street Journal Europe , che ieri ha dedicato l'inchiesta di prima pagina alla crisi e ai cambiamenti che uno dei distretti più ricchi e blasonati della Penisola è costretto ad affrontare per sopravvivere. Il drago fa paura. L'anno scorso Pechino ha esportato tessile per oltre 16 miliardi di euro, con una crescita del 53% rispetto a tre anni prima. Il balzo ha fatto della Cina il secondo esportatore di tessile nel mondo dopo l'Unione Europea, nella quale molti Paesi ad alti costi già negli anni '60 e '70 hanno progressivamente rinunciato a difendere un'industria non più competitiva. Ma non in Italia.
La musica è cambiata. Il disagio è racchiuso in pochi numeri: duemila posti di lavoro persi l'anno scorso (l'8% del totale), calcola l'Associazione degli industriali di Biella. E nuovi licenziamenti sono in cantiere a fronte di un ridimensionamento dell'attività per alcuni o della decisione di delocalizzazione per altri. Ma c'è già chi ha chiuso i battenti, come il lanificio Alfredo Pria, una delle più grandi manifatture che ai tempi d'oro contava oltre mille dipendenti e vendeva le sue lane a grandi firme come Yves Saint Laurent e Dior.
«Eravamo i cinesi d'Europa. Negli anni '50 e '60 ci siamo presi il mercato di Inghilterra e Francia. Ora dobbiamo essere pronti a passarlo a qualcun'altro», racconta Carlo Piacenza, che con i suoi fratelli guida l'omonima azienda di cachemire. E prevede che l'impatto cinese aumenterà ancora quando nel gennaio 2005 cadranno le ultime barriere sul tessile in accordo con la liberalizzazione decisa in seno all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto).
Una risposta? Diventare più veloci. Negli ultimi due anni Piacenza ha cambiato il 70% della sua linea di produzione, per fronteggiare una concorrenza che ancora preferisce copiare più che ideare nuovi prodotti. Ma nel lungo periodo la sorte è già scritta. La produzione sarà trasferita in Cina, dove Piacenza ha aperto la sua prima fabbrica fin dal 1994. E dove impiega 200 persone. I 224 lavoratori a Biella si concentreranno invece sempre di più su innovazione e design. E in futuro le aziende italiane sostituiranno l'etichetta «Made in Italy» con «Creato in Italia».
Zegna a Biella ha già voltato le spalle. Preferendo produrre perfino in Svizzera, dove le condizioni di lavoro sono meno onerose, ha più volte spiegato in passato Gildo Zegna, al timone del gruppo insieme al cugino Paolo. Per loro la Cina viene vista come «un'enorme opportunità». Dopo aver siglato una joint-venture con un partner locale per produrre abbigliamento, il gruppo avrà 46 negozi nelle principali città cinesi entro la fine dell'anno e altri 60 saranno aperti l'anno prossimo. E anche per Zegna il proprio marchio è più importante di dove si produce.
Estratto da Corriere della Sera del 18/12/03 a cura di Pambianconews