Giorgio Armani è uno degli imprenditori che più rappresenta il made in Italy. Ha un gruppo della moda che fattura 1,3 milioni di euro e che lo scorso anno ha avuto utili lordi per 185,3 milioni. Un nome che è conosciuto in tutto il mondo e la cui solidità è conclamata. Ma quest'anno anche lui dovrà registrare una leggera contrazione del suo giro d'affari, – un 3% che è conseguenza prima dell'euro così forte sul dollaro. Un ostacolo in più, quello della moneta, per chi esporta in tutti i Paesi del mondo come fa il made in Italy e che arriva dopo la guerra, la Sars, il crollo del turismo, la crisi economica mondiale.
In questi giorni lei si è detto più ottimista di un po' di tempo fa.
'Ci sforziamo tutti di esserlo, più ottimisti. Oggi la situazione è certamente migliorata, ma basta poco a rimettere tutto in discussione e farci tornare ai livelli precedenti a questa piccola emozione di ripresa. Il dollaro che è così basso, il petrolio che può influire su un mercato importante come gli Stati Uniti'.
Non bisogna abbassare la guardia, insomma.
'Bisogna stare continuamente all'erta. Penso, per esempio, a tutto il tema delle produzioni orientali. La Cina, per i bassi costi che ha, sul piano psicologico non è accettata come un Paese che fa produzioni elevate, nonostante abbia ormai un livello qualitativo molto interessante. C'è un tipo di clientela alta che vuole ancora solo made in Italy. Ma per tutto un altro genere di consumatori non ha alcuna importanza che un prodotto sia fatto a Hong Kong o in Cina. Un giovane che compra un giaccone guarda il giaccone, non il luogo in cui è stato fatto.'
E questo è un pericolo grosso.
'E' un pericolo vero. Basta parlare con un qualunque imprenditore del tessile comasco o biellese� Ormai vediamo produzioni cinesi, o coreane, o turche che sono molto competitive. Davvero, molto competitive.'
Il gruppo Armani realizza i suoi capi anche fuori dall'Italia?
'Facciamo qualcosa in Asia e anche nell'Europa dell'Est, ma non della prima linea. Il made in China ha questo gap psicologico, che forse sarà superato ma non in tempi così immediati. Certo, bisognerebbe investire per avere produzioni in Paesi asiatici e controllate dall'Italia. Ma sono cose di cui parlare con attenzione perché in Italia abbiamo le fabbriche e non si può non preoccuparsi di questo. Oppure, bisogna fare qualcosa perché produrre in Italia costi meno.
Cosa possono fare gli imprenditori?
'Si dice che si deve tenere alto il livello delle produzioni. Ma quando vedo gruppi come Zara o H&M che in tempi rapidissimi ripropongono sul mercato tutto ciò che fa tendenza, penso che l'unica strada sia differenziarsi gli uni dagli altri, invece di seguire tutti lo stesso trend, perché altrimenti i prodotti vengono confusi. Bisogna che Armani faccia una cosa e un altro una diversa e che questo venga sottolineato dalla stampa. Forse così creeremo un po' di confusione in chi copia.'
Il futuro del suo gruppo è centrale per il made in Italy. Ci si chiede sempre chi sarà il suo successore.
'Lasciatemi lavorare ancora per un po'. Per i prossimi tre, quattro, cinque anni l'azienda ha ancora bisogno di me'.
Estratto da il Corriere della Sera del 05/12/03