L'argomento non è tanto facile da affrontare. E, infatti, anche se più di un imprenditore della moda ne parla in colloqui privati proponendolo come un nodo fondamentale per il settore, poi fa fatica a esplicitare gli stessi concetti pubblicamente. Il tema è quello dei manager «che fanno male alle aziende». Nel senso di manager magari preparatissimi e bravissimi che, però, hanno comportamenti scorretti. Oppure, e questo è il caso più frequente, di manager che «appaiono» preparatissimi e bravissimi ma, invece, non lo sono affatto. «La verità – dice un imprenditore – è che ci vorrebbe una lista di proscrizione. Ho visto persone uscire dal nostro gruppo per loro colpa grave e rientrare in altri con posizioni di maggior prestigio. Purtroppo, tra di noi non parliamo e i consulenti non sempre sono d'aiuto». Il tema è sensibile. Soprattutto in tempi in cui le aziende, dopo tre anni consecutivi di crisi, si ritrovano ad affrontare situazioni singole anche molto difficili.
In questi ultimi mesi, poi, un gran via vai di manager di prima e primissima linea ha ulteriormente contribuito ad accendere la discussione. Così, nella ricerca delle colpe, o semplicemente nella ricerca delle migliori strade possibili, anche i dirigenti vengono messi sotto osservazione con maggior attenzione di un tempo. Per la moda si tratta di un argomento relativamente nuovo. Le aziende, in particolar modo quelle italiane, sono ancora in molti casi padronali nel senso più classico del termine e spesso hanno come riferimento di punta lo stilista-fondatore. è stato solo negli ultimi dieci-quindici anni anni che, con il crescere delle dimensioni e la conseguente necessità di strutturarsi, le società (ma non tutte) hanno iniziato a dotarsi di dirigenti e a delegare loro responsabilità. Ancora oggi, però, le persone scarseggiano e spesso sono sempre le stesse che passano da un marchio all'altro. Anche quelle notoriamente inadatte al nuovo ruolo.
Di chi le colpe? Dell'imprenditore che, essendo attento soprattutto agli aspetti emozionali, come dicono alcuni cacciatori di teste, «si innamora del candidato ed è come quel marito che, reso cieco dall'amore, non vede il tradimento della moglie che si consuma davanti ai suoi occhi»? Dei consulenti che, come ribattono le aziende, «prima alimentano i bisogni e poi offrono le soluzioni, né più né meno della pubblicità. In fondo, i manager non sono altro che il prodotto che deve essere venduto». O, ancora, dei manager che, come si dice sempre nelle aziende, sono stati abituati troppo bene, anzi talmente bene che ancora oggi, e anche in aziende che certo non navigano in buone acque, continuano a voler girare in limousine e a spendere e spandere per se stessi giustificando questo atteggiamento con le «necessità dell'immagine del marchio»? Probabile che tutti questi elementi concorrano. Di certo, le aziende parlano poco tra di loro e in troppi casi reagiscono emotivamente, complice anche la componente omosessuale che è forte in questo mondo ed è considerata difficile da gestire. Tutti coloro che lavorano nella moda hanno in mente almeno qualche caso di «innamoramento» finito male.
Estratto da CorrierEconomia del 1/12/03 a cura di Pambianconews