Piccola Rondine è il soprannome con cui, a Shanghai, chiamano la giovane manager Yingzi, 35enne direttore generale della società controllata al 65 per cento dal gruppo toscano Inghirami. «Finora in Cina abbiamo investito complessivamente 12 milioni di dollari. L'utile operativo lo facevamo già, ma ora finisce il peso degli ammortamenti e cominciamo a guadagnare sul serio, mentre il giro d'affari annuo è vicino ai 10 milioni di euro», spiega Giovanni Inghirami.
«Non siamo venuti qui a fare i colonialisti, a sfruttare l'occasione di fabbricare camicie e abiti grazie al contenuto costo del lavoro e basta. Ci siamo venuti perché credevamo nello sviluppo dei consumi e perché sapevamo che dovevamo esserci per giocare un ruolo importante sul lungo periodo. Ora sono in tanti a pensarla come noi e sono anche convinto che chi non si sbriga a mettere un piede produttivo in Cina rischia di perdere il treno», sostiene Inghirarni. 125 negozi e corner dove si vendono soprattutto capi firmati Reporter e SanRemo sono frequentati da clienti cinesi della fascia medio-alta e da stranieri.
Nonostante i ricavi di Inghirami in Cina rappresentino ancora una piccola parte del giro d'affari complessivo del gruppo, che quest'anno fatturerà circa 250 milioni di euro (per il 65 per cento in Italia) con un utile di 1,5 milioni di euro, per Giovanni Inghirami la Cina ha un valore strategico decisivo. «Pensiamo di aprire 10-15 nuovi punti vendita l'anno, sempre mixando la produzione cinese all'import dall'Italia. Mi auguro che, tra una ventina d'anni, i nostri negozi e i nostri corner nei department stores saranno 500. Esagerazioni? Non credo. Se la crescita cinese sarà ben gestita e non creerà una spaccatura tra le varie fasce della popolazione, questo sarà a lungo il mercato del futuro. Noi ci siamo e ci resteremo».
Estratto da L'Espresso del 28/11/03 a cura di
Pambianconews