Dopo quasi due anni in caduta libera, le esportazioni di orologi dalla Svizzera all’Italia sono finalmente in leggero aumento: 4,3% in settembre, anche se l’andamento, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, continua a essere deficitario (-13%). L’Italia conserva il quarto posto fra i mercati mondiali e il primo fra quelli europei, mentre impressiona l’arretramento del mercato tedesco che rallenta il proprio calo (-11,6% nel periodo fra gennaio e settembre 2003 rispetto all’anno precedente, mentre nello stesso periodo del 2002 il calo era stato del 28,3%) ma si lascia superare dal mercato inglese, in salita del 3,5% rispetto al boom dell’anno precedente (»13,6%; i dati, forniti dalla Federazione svizzera dell’Orologeria sono sempre riferiti ai periodi gennaio-settembre) e ormai a ridosso, per volume d’affari, del mercato francese.
Per quanto riguarda la situazione generale dell’orologeria svizzera, il calo nel periodo gennaio-settembre è del 5,2% (per una cifra complessiva leggermente superiore ai 7 miliardi di franchi svizzeri) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma in settembre c’è stato un considerevole aumento delle esportazioni (7,9%), che conferma quello di agosto e lascia ben sperare per l’ultima parte dell’anno. Un risultato reso possibile dalla crescita di alcuni mercati, fra cui quelli cinese e russo (rispettivamente 158,3% e 19,4% nel periodo gennaio-settembre). Si direbbe, quindi, che ci sia spazio per l’ottimismo, sia per quanto riguarda il mercato italiano che per la Svizzera degli orologi.
Il futuro dell’orologeria, in definitiva, sta nella capacità, da parte delle multinazionali, di non strangolare i produttori indipendenti e riuscire a trasformare la propria struttura in una sorta di federazione di produttori, ciascuno con la propria personalità. Se, invece, le multinazionali continueranno a produrre orologi in quantità maggiore alla richiesta solo per riempire i negozi (che sono ormai stracolmi di merce invenduta) perché gli azionisti chiedono maggiori profitti e si pensa di ottenerli aumentando produzione e prezzi, se questa linea di condotta dovesse continuare, allora l’orologeria, la grande orologeria, non avrebbe più ragione di esistere.
Vedi tabella che segue
Estratto da Corriere della Sera del 21/11/03 a cura di Pambianconews