A 51 anni James Quinn, ha raggiunto una serie di importanti traguardi, che però rischiano di avere già il sapore di un appagamento finale. Nominato lo scorso gennaio presidente di Tiffany Quinn da tempo colleziona importanti presenze nei board di aziende e istituzioni di varia natura, comprese l'Onu, la Fifth Avenue Association e il Museum of the City of New York.
Lo scorso mese, poi, il manager è divenuto chairman del consiglio nordamericano della Smurfit Business School, l'università di Dublino che si propone di essere un ideale ponte tra le due sponde dell'Atlantico e che con il suo Mba è forse già oggi tra le prime 10-12 in Europa.
Secondo marchio mondiale nei gioielli dopo Cartier, l'anno scorso Tiffany ha fatturato 1,7 miliardi di dollari. La crescita di Quinn è stata nel frattempo più che proporzionale. Bene è andata a entrambi anche negli ultimi anni, nonostante la crisi del post 11 settembre. «Il 2001 è stato duro anche per noi», riconosce il neo presidente, «ma da allora la progressione di fatturati e profitti si attesta nell'ordine del 10-15% annuo. Sicuramente abbiamo fatto meglio di gran parte della concorrenza».
«Il nostro è un marchio magico», sostiene Quinn, «e deve restare aspirazionale, ma allo stesso tempo dobbiamo rispettare le ragioni degli azionisti, il che significa crescere. Apriamo per questo sempre nuovi punti vendita, ma lo facciamo solo in maniera diretta, non diversifichiamo l'offerta al di là di quel che sappiamo ben fare, la stessa distribuzione dei profumi l'abbiamo a suo tempo confinata all'interno dei nostri negozi, non vendiamo in Rete. Insomma, dobbiamo evolvere lentamente e con attenzione, pena la perdita di attrattività del marchio. Marchio sul quale ogni anno facciamo una serie di focus group con i consumatori per capire se non rischi l'overextension».
Dal canto suo l'andamento del mercato non sembra destare preoccupazioni. «Il lusso, come tanti altri settori, vive di cicli», conclude il top manager, «ma nel lungo periodo le prospettive appaiono comunque buone. Aumenta il numero delle persone con disponibilità e aumenta anche la volontà di dichiarare con il consumo un proprio stile personale. Insomma la domanda di lusso non può che evolvere. L'offerta, nel frattempo, è destinata a concentrarsi».
Estratto da Espansione del 20/11/03 a cura di Pambianconews