Dopo mesi e mesi di lavoro, riapre domani a Parigi in Faubourg St. Honoré la boutique dell'italianissimo Pomellato, completamente rinnovata nell'architettura e nel design. Cocktail, ospiti illustri, ricevimento: la solita elegante trafila che si rispetta in questi casi, e soprattutto l'occasione per tirare il bilancio di un anno di intenso lavoro in un momento di straordinaria difficoltà. «Archivieremo questo 2003 con un 12% di crescita, spiega l'amministratore delegato Francesco Minoli. Una cifra interessante se pensiamo che completa l'eccezionale balzo del 2002, quando abbiamo registrato il +26,6%». Ora, essendo Pomellato uno dei più importanti marchi della gioielleria made in Italy e attraversando il settore una delle fasi più incerte degli ultimi anni, il risultato acquista un particolare rilievo. Anche perché l'azienda stessa per ragioni interne ha conosciuto, alla metà degli anni Novanta, la sua crisi più grave.
Nel frattempo la riorganizzazione aziendale è proseguita e nello scorso anno si è provveduto a separare Pomellato dal secondogenito DoDo, la linea giovane che rappresenta il gioco, il nuovo, la natura, con i suoi piccoli gioielli efficaci come messaggi, una sorta di Sms più decorativi. Cresciuta in fretta e scalpitante per avere una maggior autonomia, non appena ha conosciuto l'indipendenza, con la rete di vendita e il marketing separati, ha cominciato a correre, e oggi rappresenta già il 35% del fatturato globale (70,9 milioni di euro). Mentre Pomellato ha continuato a coltivare la sua personalità eccentrica e quella creatività che soltanto una lavorazione quasi interamente artigianale ancora consente.
«Basta prendere in mano uno dei nostri gioielli per accorgersi della differenza: per il peso, la rotondità, la particolarità del design. Il prodotto industriale, invece, è più rigido e si basa su moduli, è schematico». Va da sé che la Pomellato possa produrre un numero di pezzi ridotto, intorno ai 15mila all'anno e che mantenendo il suo particolare modo di procedere, dove ogni gioiello è seguito personalmente da un orafo artigiano, possa prevedere al massimo il raddoppio del fatturato. Tra due anni e mezzo, i 210 dipendenti, tra i quali 80 operai, lasceranno il lavoratorio vicino a Piazza Napoli, a Milano, per trasferirsi nella nuova sede: 7.500 metri quadrati in via Neera, sul Naviglio Pavese, dove una volta sorgeva una fabbrica di macchinari per dolci. «Riuniamo uffici, magazzino, show-room che erano sparsi per tutta Milano in una zona che riteniamo avrà un grande sviluppo». Investimento previsto: 14 milioni di euro. «è un impegno molto serio, ma anche un segno forte di fiducia nel futuro».
Estratto da CorrierEconomia del 17/11/03 a cura di Pambianconews