Il lusso riparte dalla Cina. E se a dirlo sono i numeri uno di Tod's e Gucci, c'è da crederci. Al Milano Fashion Global Summit, il convegno promosso da Class Editori, lo slogan è «Superare due anni di choc». E in effetti, a Palazzo Mezzanotte, il clima è più ottimista di quanto non succeda ultimamente quando si parla di made in Italy. E perché non pensare a joint-venture proprio con i cinesi? è la proposta lanciata dal patron di Tod's, Diego Della Valle. La produzione però dovrà essere tutta in Italia, ricorda l'imprenditore marchigiano, perché la qualità del prodotto è fondamentale per conquistare non solo il consumatore emergente, come quello cinese, che guarda soprattutto alla riconoscibilità del marchio come status symbol, ma anche per «riconquistare» quello europeo o americano, più smaliziato.
Comunque, il futuro è ad Oriente: lo conferma anche Domenico De Sole, presidente e amministratore delegato di Gucci. Entro 10 anni il gruppo conta di realizzare in Asia, escluso il Giappone, il 30% del proprio fatturato contro l'attuale 16%. «La Cina, ha detto De Sole, nei prossimi anni diventerà il più grande mercato di beni di lusso del mondo». Dove la parola chiave è «lusso»: che è sì di moda, ma non vi si identifica. Al contrario della moda, mutevole per definizione, il lusso ha la sua forza, anche economica, proprio nell'eredità continuamente rinnovata di un passato mitico.
Ecco perché, al contrario dell'abbigliamento, non teme i «nuovi protagonisti nati dalla crisi», secondo la definizione di un esperto come Carlo Pambianco: le grandi catene di pronto moda estere, come Zara e H&m, che hanno fatto della velocità e del prezzo il loro punto di forza.
Estratto da Il Giornale del 14/11/03 a cura di Pambianconews