E' stato trovato un accordo tra gli industriali e le griffe della moda sulla questione del #made in'. Entrambi sono sullo stesso fronte di battaglia rispetto all'obbligatorietà dell'etichettatura dei prodotti venduti in Europa che indichi dove sono stati fatti. Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della moda italiana e Vittorio Giulini, presidente di Sistema Moda Italia, sono riusciti a trovare una linea comune. La stessa, poi, che li vede accomunati a tutti gli altri settori industriali di Confindustria. Spiega Giulini: «Meno di un mese fa con tutti i settori industriali di Confindustria abbiamo deciso di chiedere alla Comunità europea di rendere obbligatoria l'etichettatura dei prodotti indicando il #made in' per tutti i prodotti venduti in Europa. Tutti i settori, da chi produce elettrodomestici agli orafi, da chi fa abbigliamento ai calzaturieri, sono d'accordo sul dover indicare sull'etichetta l'origine del prodotto, la provenienza, seguendo le normative americane che sono quelle fatte meglio in materia. Siamo andati dal ministro Urso che ha recepito le istanze e dai soci della Camera Nazionale della Moda hanno deliberato favorevolmente per questa linea».
Per difendersi dalla concorrenza cinese questo è uno strumento su cui tutte le associazioni sono d'accordo. E l'Europa rappresenta un'eccezione rispetto alla maggior parte dei paesi che hanno già da tempo l'etichettatura obbligatoria, come gli Stati Uniti, il Giappone e anche la Cina. Oggi nella Comunità europea non c'è nessun obbligo di indicare le origini del prodotto. Basta che l'importatore gli metta un suo marchio di vendita. Ma gli altri 14 paesi dell'unione europea saranno d'accordo sul #made in'obbligatorio? Spagna, Portogallo, Francia e Grecia, sono ben disposti perché anche loro hanno un'industria locale manifatturiera da difendere. Ma i paesi del nord Europa che hanno soprattutto grandi catene distributive e forti associazioni dei consumatori e a cui l'unica cosa che importa è avere prodotti da vendere e comprare a basso costo, saranno ben disposti? Boselli è positivo «Secondo me i paesi del nord Europa potrebbero essere disposti a seguire questi criteri di etichettatura che evidenzino il paese d'origine dei prodotti non tanto per combattere il dumping economico dei paesi a basso costo della manodopera, ma per garantire ai consumatori il rispetto di regole etiche fondamentali affinché non venga utilizzata manodopera minorile, per fattori ecologici e via di seguito».
Giulini, dal canto suo, è convinto che l'appoggio confindustriale possa essere risolutivo per fare pressioni a livello europeo sul #made in'. «Questa volta non siamo solo noi del tessile abbigliamento, o comunque della moda a chiederlo, ma tutti i settori industriali. Per cui la comunità europea che non ha interessi da difendere nel tessile, ne ha però da salvaguardare per gli altri settori industriali nei quali subisce gli effetti della concorrenza cinese» risponde Giulini. In effetti il 40% del tessile europeo è concentrato in Italia e un'altra fetta di industria della moda la si trova in Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. Morale: se la Comunità accetterà, come credono sia Giulini che Boselli, sui vestiti venduti in Europa sarà obbligatoria scrivere la provenienza. Se i vestiti sono realizzati in Europa bisognerà scrivere #Made in Europe' seguito da #made in' col nome del paese europeo dove sono stati confezionati. «Quest'ultima specifica serve a tutelare il valore aggiunto del prodotto», commenta Boselli.
Estratto da Affari & Finanza del 6/10/03 a cura di Pambianconews