I nuovi pretendenti alle dismissioni della Finpart di Gianluigi Facchini hanno iniziato a farsi avanti a settembre. Quando era ormai certa la defezione di Bridgepoint capital, il fondo di private equity che, a fianco di L capital, a luglio aveva condotto a termine la due diligence in esclusiva di uno degli asset di pregio messi in vendita dal gruppo: la Pepper industries, polo dell'abbigliamento casual (marchi Marina yachting, Henry cotton's e Pepper) con 245,7 milioni di ricavi.
Sondaggi sono stati avviati da altre società di private equity, il fondo inglese 1 e Sanpaolo Imi private equity, ai quali potrebbero aggregarsi anche piccoli imprenditori del settore moda. Obiettivo: rilevare le attività di Pepper che era stata valutata dal mercato intorno ai 125 milioni, al netto di 76,3 milioni di debiti. Da soli, o in cordata con la stessa L capital, che ha tra i maggiori sottoscrittori il gruppo del lusso Lvmh e che investe solo in partecipazioni di minoranza.
A oggi, tuttavia, gli investitori hanno bloccato il negoziato con Finpart (la vendita di Pepper dimezzerebbe l'indebitamento, di 360 milioni) in attesa di chiarimenti da parte di management, advisor e azionisti. Quali? In particolare, aspettano che venga definito l'aumento di capitale annunciato da Facchini e dal presidente Ubaldo Livolsi. E che, soprattutto, ci siano garanzie che le banche creditrici intervengano per rimettere in sesto le finanze del gruppo quotato a Piazza Affari. Perché il timore dei potenziali acquirenti è che la situazione finanziaria di Finpart peggiori e non consenta al gruppo di ripagare a luglio 2004 il bond Cerruti da 220 milioni.
Estratto da Il Mondo del 3/10/03 a cura di Pambianconews