Se fino a qualche anno fa erano caute e timorose, ora le case di moda hanno una certezza: la Cina è il nuovo grande mercato su cui scommettere. Ecco perché oggi tutte le griffe, grandi e piccole, stanno investendo sempre di più, in termini finanziari e di risorse umane, per conquistare anche solo una piccola fetta dei consumatori cinesi. C'è chi apre nuovi negozi, chi ne aggiunge altri a quelli esistenti, chi tenta lo sbarco con accordi di partnership. «Oggi produrre in Cina è una questione vitale per la moda italiana, osserva David Hong, titolare di Swank, una delle più importanti catene di negozi multi-marchio di Hong Kon. Il Paese offre molti vantaggi come la flessibilità della forza lavoro, la voglia di apprendere, la manualità delle maestranze locali, che i marchi che realizzano linee di gamma medio-bassa non potrebbero trovare altrove nel mondo. Solo per le produzioni di alta gamma è ancora presto, anche se la percezione del made in China sta migliorando notevolmente».
I creatori di moda americani, a partire da Ralph Lauren e Calvin Klein, lo hanno compreso già da tempo. Gli italiani solo di recente, e hanno iniziato rapidamente ad accodarsi. Tutti, praticamente senza eccezioni, stanno iniziando a spostare oltre la Grande Muraglia le manifatture delle linee più commerciali. «Ormai in Cina si possono produrre capi di qualità assimilabile a quella italiana, sostiene Giovanni Inghirami, presidente della Inghirami Company che dal 1994 produce a Shanghai le linee Sanremo e Reporter destinate al mercato asiatico. Ovviamente, bisogna essere disposti a investire molto fin dall'inizio in macchinari e tecnici occidentali. Poi, una volta partita, la macchina va quasi da sola: basti pensare che quando aprimmo il nostro stabilimento a Shanghai c'erano 10 tecnici italiani, oggi ne sono rimasti solo due».
«Produrre in Cina è sempre più conveniente, grazie anche al fatto che nel settore tessile si è creato un indotto enorme. Questo favorisce la delocalizzazione delle aziende straniere, che oggi nel Paese possono reperire tessuti di qualità, competenze, finissaggi di alto livello» spiega Luca Marzotto, direttore generale di Marlboro Classics. E aggiunge: «Ecco perché negli ultimi cinque anni il nostro outsourcing in Cina ha registrato un incremento medio annuo del 22%, ed è destinato ad aumentare ancora in misura significativa. Ciò detto, resta il problema delle quote di produzione. Speriamo che il Governo mantenga le promesse fatte in sede Wto e si decida una volta per tutte a mettere un po' d'ordine in quello che è diventato una specie di mercato delle vacche».
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Estratto da Il Sole 24 Ore del 30/09/03 a cura di Pambianconews