Cento sfilate per combattere la crisi. Per dire addio all'austerity e tornare ad accogliere con fiducia operatori, turisti, stilisti, buyers. Sabato si inaugura la settimana della moda, nove giorni di sfilate a ritmo serrato. Con una novità: è tornato l'ottimismo. «I mesi scorsi sono stati disastrosi per l'industria della moda, ma la ripresa sta già cominciando e il 2004 sarà un anno decisivo per il nostro settore», spiega Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda italiana. Finalmente, continua Boselli, ci siamo lasciati alle spalle l'11 settembre, la guerra in Afghanistan, l'attesa delle ostilità in Iraq, il conflitto contro Saddam, la Sars, la parità del cambio tra euro e dollaro, la caduta delle Borse. E se il secondo trimestre di quest'anno può essere archiviato come il punto più basso del ciclo congiunturale e i consuntivi per il 2003 resteranno negativi (si parla del meno 1,5 per cento), segnali positivi giungono dai maggiori mercati del Made in Italy (Usa, Germania, Giappone e Russia). La ripresa, secondo Boselli, dovrebbe svilupparsi nel corso del 2004.
Nel frattempo, da sabato 27 settembre a domenica 5 ottobre, Milano ospiterà 200 collezioni, 100 sfilate di cui 44 nelle sale di Fiera Milano, per un totale di 94 marchi, 70 presentazioni statiche e 30 su appuntamento. Grandi numeri e il tutto esaurito negli alberghi milanesi. Lo conferma l'assessore alla Moda Giovanni Bozzetti: «La kermesse della moda coinciderà in parte con lo Smau: prevediamo migliaia di arrivi da tutto il mondo e in alcuni casi non escludiamo la possibilità di overbooking nei nostri hotel».
E mentre la moda italiana conquista punti in Borsa e riconoscimenti in qualità (la Camera Nazionale ha ottenuto la certificazione a norma Uni En Iso 9001:2000 del Sistema Qualità per l'alta professionalità dei servizi), Mario Boselli lancia la battaglia contro il mercato cinese: «La Cina sta facendo disastri in tutti i settori, non solo per il basso costo della manodopera. Gode di aiuti all'export, la fiscalità è al 19 per cento, le aziende possono fallire perché vengono rifinanziate a tasso zero, e chi produce gode anche di un dumping ecologico e sociale perché non deve sostenere i nostri costi per la tutela dell'ambiente, può utilizzare lavoro minorile eccetera».
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Estratto da Il Corriere della Sera del 24/09/03 a cura di Pambianconews