Per il lusso quella in corso è «la peggiore crisi degli ultimi 30-40 anni». Colpa di fatti congiunturali ormai noti. Ma colpa anche, in fondo, del recente grande successo che ha abituato le aziende a guadagnare senza troppa fatica. Dice, infatti, Ferruccio Ferragamo, amministratore delegato di un gruppo che nel 2002 ha fatturato 584,7 milioni di euro a livello consolidato (-8,8%) e ha avuto un utile netto di 16,3 milioni (dopo la perdita di 3,8 milioni del 2001), che «periodi come questi servono molto perché portano a rivedere la propria organizzazione aziendale, la sua efficienza e a capire che cosa vuole il mercato. Domande che si reputano scontate e che, invece, è giusto farsi».
Anche Francesco Trapani, amministratore delegato di Bulgari, ha detto che si cominciano a studiare meglio mercati e clienti. Per un'azienda non è normale fare queste cose?
«Ci sono stati anni eccezionali in cui tutto era facilissimo, c'era la coda di orientali davanti ai negozi, e questo durante le vendite normali non i saldi. Naturalmente eravamo felici del grosso successo ma anche imbarazzati, quasi disturbava l'immagine del brand. Diciamo che siamo stati un po' sopraffatti da una clientela che non è facile individuare bene. Avevamo un po' perso di vista il mercato. Adesso è il momento opposto e c'è la necessità di focalizzare e curare bene la clientela più affidabile e duratura».
In questi giorni si è parlato molto di dazi contro la concorrenza cinese, ma lei si è sempre detto contrario…
«Ai dazi non credo, sono un modo di viziare l'industria e di cui si pagano le conseguenze, più pesantemente, dopo. Lo abbiamo visto con l'auto, un settore che è stato protetto per anni».
Qual è la soluzione giusta?
«La reciprocità, per esempio. Così come ha anche senso mettere non un marchio di provenienza ma un marchio che garantisca che in quel certo Paese non si produce sfruttando i minori o inquinando. Per il resto, credo che ci si debba adeguare alla situazioni. I prodotto americani, per esempio, sono #'made in Hong Kong'' e sono le aziende che garantiscono gli standard».
Sta dicendo che bisogna andare a produrre in Cina?
«Bisogna trovare dei modo per sopravvivere davanti a queste realtà molto aggressive. Noi, come Ferragamo, oggi facciamo tutto #'made in Italy'', ne siamo orgogliosi e non andremo a produrre in Cina per primi».
Estratto da CorrierEconomia del 15/09/03 a cura di Pambianconews