Troppo poco estero e investitori istituzionali insufficienti, ma forte spirito di imprenditorialità. è quindi una struttura finanziaria ancora debole, più che la piccola dimensione, a frenare la corsa delle aziende italiane rispetto ai principali Paesi Ue con i quali ci confrontiamo. In Italia, dove il mix tra aziende di famiglia e distretti industriali è un fattore chiave, gli investitori stranieri giocano il ruolo di Cenerentola come azionisti: appena il 6,8% rispetto, per esempio, al 21,6% della Gran Bretagna. Anche la Francia (9,7%) e la Germania (con il 13,1% di presenza estera) stanno meglio di noi. Questo tipo di analisi è emerso ieri all'università Bocconi durante un incontro europeo, il primo del genere ospitato dal nostro Paese, su «Imprenditorialità e innovazione nelle Pmi», al quale hanno partecipato aziende, esperti e studiosi dell'Efmd (European foundation for management development).
Tra gli ostacoli che sono stati individuati, c'è la difficoltà delle Pmi a fare innovazioni significative, anche in seguito alla ridotta dimensione delle imprese. «In effetti, spiega Philippe Albert, presidente dell'Efmd, la situazione europea è molto articolata. Ma gli esperti e tutti i principali indicatori (dal numero dei laureati a quello dei brevetti) sembrano però concordi nell'individuare l'Italia come uno dei Paesi in ritardo sul fronte dell'innovazione. I motivi? Oltre a un disorganizzato rapporto con l'università, sembra emergere un problema di finanziamenti insufficienti e di scarsi aiuti pubblici».
Vedi tabella che segue
Estratto da Il Sole 24 Ore a cura di Pambianconews