«Se riusciremo a recuperare competitività potremo svilupparci qui in Puglia, altrimenti dovremo andare altrove». Pasquale Natuzzi si dà sei mesi di tempo. I risultati del primo semestre, con il fatturato in calo del 6,6% e l'utile più che dimezzato, non bastano a descrivere le difficoltà della prima azienda italiana di arredamento, del primo gruppo al mondo nella produzione di divani in pelle. Due pagine su un settimanale specializzato americano, Furniture Today, dicono molto di più. «Guardi qua. Uno stabilimento di più di tre chilometri quadrati, 5mila spedizioni al mese di container, ordini soddisfatti in cinque settimane. Offrono a produttori e distributori americani camere da letto complete da vendere in negozio a 999 dollari. Prezzi incredibili per noi». Natuzzi legge la dichiarazione di guerra: la pubblicità del gigantesco stabilimento di Dalian è l'ultimo simbolo dell'attacco cinese, cominciato anni fa e ora arrivato alla battaglia finale.
Presidente Natuzzi, per il secondo trimestre consecutivo le vendite del gruppo sono in calo. è tutta colpa della Cina?
è una situazione difficilissima. Ho cominciato a lanciare allarmi sulla Cina nel '97. Ho avvertito subito i segnali di quello che stava accadendo, perché io vivo nel mercato. Allora si guadagnava bene e ho fatto fatica a convincere i collaboratori che il pericolo era dietro l'angolo. Finalmente, due anni e mezzo fa abbiamo creato Italsofa, per portare all'estero la produzione del promozionale, per continuare a produrre la fascia bassa: qui i costi erano insostenibili. Se non avessimo investito in Romania, Brasile e Cina saremmo in calo già da tre anni e avremmo difficoltà a finanziare il nostro piano di investimenti.
Il calo è arrivato ora.
Ci aspettavamo il forte sviluppo dei produttori cinesi ma è arrivato in anticipo. La loro velocità si è unita agli investimenti e ai grandi consumi americani, alla loro capacità di copiare subito i modelli senza correre rischi. Noi siamo stati copiati in tutto: una causa ci è già costata un milione di dollari. Poi c'è il fatto che non rispettano leggi, ambiente e diritti umani. E ancora il rafforzamento dell'euro ha penalizzato soltanto noi mentre i cinesi sono legati al dollaro con il cambio fisso. Cosi, anche con la crisi sono caduti in piedi: negli ultimi cinque anni sono passati dal sedicesimo al quarto posto nella classifica degli esportatori di divani.
Ha pensato di trasferire all'estero una parte della produzione di punta per tagliare i costi?
lo ho sempre fatto dell'italianità di Natuzzi un motivo di orgoglio. Ho sempre voluto rendere accessibili divani di alta qualità made in Italy. Oggi il problema è molto serio, sono in difficoltà nella fornitura di alcuni prodotti: non sono pochi, pesano per circa 120 milioni di curo sul fatturato. Ma al momento ho solo tre possibilità: lavorare in perdita e non ha senso, aumentare i prezzi e non voglio, spostarne la produzione all'estero e non se ne parla. Non c'è una soluzione, perciò abbiamo bisogno di recuperare competitività, per tutelare la produzione italiana. In questa fase è importante che le lstituzioni ci vengano incontro e i sindacati siano aperti al dialogo. Natuzzi è un'azienda di interesse pubblico, ha creato le basi per un polo produttivo dell'arredamento che occupa 14mila persone. E se noi che abbiamo le spalle larghe, anche dal punto di vista finanziario, siamo in difficoltà, per molte altre aziende della zona è più dura. è in gioco l'intera industria manifatturiera.
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Estratto da Il Sole 24 Ore del 6/09/03 a cura di Pambianconews