Le banche creditrici e Patrizio Bertelli versano in un'impasse più seria di quanto il bilancio di Prada Group non lasci intendere. Un 2002 nero che parla da solo: ricavi in calo per effetto delle dismissioni, e anche se resi omogenei si contraggono del 3%, soprattutto a causa dei marchi Miu Miu e Helmut Lang; margini ancora più bassi: il mol scende da 58,1 a 55,6% del fatturato, mentre il risultato operativo post ammoratmenti scende da 132 a 71,9 milioni di euro (dall'8,2 al 4,6% sul fatturato).
Un rendimento così non è quello che gli analisti si aspettano da un big della moda e del lusso. Le cause? Prada ha patito molto la rivalutazione dell'euro su dollaro e yen, avendo la quasi totalità dei costi espressi nella moneta europea e il 60% del fatturato non in euro. E si fanno economie: a partire dal management fino alla quota di sponsorizzazione per Luna Rossa; si pensa di cedere e riaffittare parte del patrimonio immobiliare. Ma resta il fatto che 27 milioni di utile su un fatturato di 1.569 milioni di euro sono pochini.
Inoltre Prada riesce a generare un utile grazie a una ricapitalizzazione di 600 milioni di euro che ha consentito di ridurre proporzionalmente il debito e gli oneri finanziari relativi. Il punto è che la ricapitalizzazione è stata fatta dalle banche creditrici, non dai soci. Queste, Intesa e Deutsche Bank in testa, hanno sottoscritto obbligazioni emesse da ITDM, la cassaforte di famiglia di diritto olandese, che saranno convertite in azioni Prada se e quando la società verrà quotata in Borsa.
A questo punto solo una rapida quotazione a prezzi elevati quadrerebbe il cerchio rendendo tutti contenti…ma oggi la quotazione di Prada con le performance che ha non avverrebbe in modo conveniente. Così si attendono tempi migliori mentre in cima alla piramide si accumulano i costi.
Estratto da L'Espresso del 21/08/03 a cura di Pambianconews