La fine del superdollaro ha messo in crisi l'export italiano negli Usa. In un paio d'anni l'euro si è apprezzato di circa il 40% nei confronti del biglietto verde e la «cuccagna» per il made in Italy è finita. Ma come sempre, la realtà può avere una doppia lettura. Per Roberto Luongo, direttore dell'Ice di New York e coordinatore di tutte le sedi degli States, questo è invece il momento di consolidare la presenza imprenditoriale. E il suo messaggio è chiaro: proprio adesso, col dollaro in calo, è l'ora giusta per investire negli Stati Uniti.
C'è davvero la crisi?
«La rivalutazione dell'euro sul dollaro ha indubbiamente reso meno appetibili i prodotti italiani rispetto a quelli provenienti da aree fuori dall'euro come Canada, Messico, Giappone, Cina».
Si può quantificare?
«C'è una storica divergenza tra i nostri dati e quelli forniti dall'Istat. Nei primi quattro mesi del 2003 l'Istituto di statistica parla di cali delle esportazioni italiane verso gli Usa del 6-7% perché sono calcolate in euro. Ma se invece le calcoliamo in dollari come facciamo noi, sono migliorate del 12,8%. E' una vecchia disputa statistica ma certo oggi, con un euro più forte di oltre il 40% rispetto a due anni fa, le imprese italiane mostrano una certa sofferenza».
In concreto qual è il suo consiglio?
«Gli imprenditori non devono scappare con la cassa ma devono investire. Irrobustendo la rete commerciale e distributiva, acquisendo negozi, siti produttivi, aprendo nuove filiali, magazzini».
Non è troppo rischioso?
«La domanda dei prodotti italiani è in crescita. In questi giorni si è chiusa la mostra sugli alimentari dove l'Italia ha avuto i padiglioni più numerosi e importanti. A Washington, dal 10 luglio parte una mostra itinerante “I made” per illustrare i modi del produrre italiano. La crisi degli Usa prima o poi finirà e chi ha investito raccoglierà i frutti».
Estratto da CorrierEconomia del 7/07/03 a cura di Pambianconews