«Nel 2002 il settore della moda ha perso 38mila occupati. E l'Esecutivo non ha mosso un dito per le aziende e per i lavoratori del settore». Il made in Italy soffre e Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, ha deciso che è il momento di alzare la voce e di richiamare l'attenzione del Governo. «Per questo settore, ha precisato, non è stato fatto nulla; e la disaffezione è stata praticamente totale». Una lontananza che pesa ancora di più se confrontata con quanto fatto per altri comparti «come l'automobile, ha sottolineato Boselli, che nonostante tutti gli incentivi possibili non avrà mai la leadership mondiale. Eppure, ha minacciato, senza interventi strutturali questo settore è destinato a non vedere la ripresa».
Un altro ruolo insolito per la Camera è l'analisi statistica della congiuntura; ieri, invece, Boselli ha presentato «una ricerca che vuole fare chiarezza». L'analisi evidenzia per il 2002 un calo del 2,5% del fatturato e del 5,3% dell'export. E segnala crescita zero per quest'anno. Ma, soprattutto, mette per la prima volta in luce il calo della produzione realizzata in Italia: ben l'8,7% nel 2002 (contro un quasi +3% l'anno precedente), superiore a quello di altri settori aiutati dallo Stato. «Ci ha salvato la delocalizzazione», è intervenuto Mauro Davico, portavoce del gruppo Miroglio, 910 milioni di fatturato nel 2002, con circa la metà della produzione dislocata nell'Europa dell'Est. Oltre a Miroglio, ad appoggiare Boselli c'erano ieri diversi nomi «pesanti» della moda italiana, come il gruppo Max Mara e Missoni. Ma anche imprese di minore dimensione: «La moda è massacrata, ha concluso il presidente di Avirex, Alfredo Cionti, rispetto alla meccanica, ma anche a un buon numero di altri beni materiali».
Estratto da Finanza & Mercati del 18/06/03 a cura di Pambianconews