La Sars, la polmonite atipica partita dalla Cina, sta colpendo pesantemente l'economia mondiale e in particolare le società del lusso e della moda.
Francesco Trapani, amministratore delegato del gruppo Bulgari, ha detto che, se continuerà a lungo, sarà dura per tutti. Patrizio Bertelli, patron di Prada, gli ha fatto eco testimoniando che nei negozi di Hong Kong non si vede più nessuno. Due nomi impegnati su quest'area come il francese Lvmh e l'italiana Zegna (ha appena acquistato il 50% di Sharmoon, tre stabilimenti produttivi), invece, non commentano. In tutte le società l'attenzione è massima. «I beni di lusso non sono essenziali, dice Ferruccio Ferragamo, amministratore delegato del gruppo Ferragamo, e per acquistarli uno dev'essere nel mood giusto, altrimenti aspetta».
Dall'area asiatica i gruppi del lusso derivano una parte consistente dei loro introiti, «i maggiori attorno al 22-23%, dice Paola Durante, analista del settore per Merrill Lynch. Se questa situazione dovesse prolungarsi per mesi, sarebbe deleterio per il quarto trimestre delle società». Gli effetti della Sars si stanno sentendo dovunque. E questo al di là della realtà di numeri che Vittorio Tabacchi, proprietario della Safilo, il gruppo degli occhiali che produce nomi come Armani e Gucci, definisce «ridicoli. Negli Stati Uniti lo scorso anno sono morte 142 mila persone per l'influenza e nessuno le ha notate. La Sars sarà un fatto di brevissimo periodo ma avrà effetti peggiori dell'11 settembre. Il terrorismo aveva influenzato solo gli Stati Uniti, la Sars sta coinvolgendo anche noi. Purtroppo, contro la psicologia non si può fare nulla».
E, infatti, nessuno prevede di voler modificare i suoi impegni nell'area. Non Ferragamo. Non Gucci (12 negozi a Hong Kong, 4 in Cina, 9 a Taiwan). Non Armani (1 negozio a Hong Kong, 2 in Cina, un terzo in costruzione). Non Safilo (una società partecipata a Hong Kong): «Non cambia nulla, dice Tabacchi, anzi in futuro la Cina presterà l'attenzione che finora non ha avuto per norme come quelle sull'ambiente o la sicurezza sul lavoro. Alla fine, non tutto il male vien per nuocere».
Estratto da CorrierEconomia del 5/05/03 a cura di Pambianconews