La filiera italiana cuoio, pelletteria e calzature sviluppa un fatturato annuo superiore ai 17 miliardi di euro e nelle 24.000 aziende della filiera sono impiegati circa 180mila addetti. Oltre che nel mercato delle calzature le industrie conciarie italiane trovano importanti clienti nell'industria dell'abbigliamento in pelle (che sviluppa un fatturato annuo superiore ai 700 milioni di euro) e in quella dell'arredo (divani imbottiti). Quasi l'80% del fatturato complessivo della filiera pelle viene realizzato sui mercati esteri, una percentuale ancora più elevata di quella che caratterizza il sistema moda italiano (ormai superiore al 60%) e più che doppia rispetto alla media manifatturiera.
Anche la filiera pelle, al pari di tutto il sistema moda, ha sofferto nel 2002. Dall'incrocio delle informazioni ufficiali ISTAT e di quelle provenienti dalle associazioni di categoria è possibile stimare, per l'anno appena trascorso, una flessione complessiva delle vendite del macrosettore superiore al 3%. Un calo fortunatamente insufficiente a erodere completamente i risultati raggiunti nel biennio 2000-2001, periodo nel quale il fatturato della filiera pelle made in Italy è cresciuto complessivamente di oltre 17 punti percentuali.
Il rallentamento che nel 2001 aveva iniziato a caratterizzare il �monte� della filiera si è quindi esteso, lo scorso anno, anche ai comparti a valle della pelletteria e delle calzature che sono tuttavia riusciti a contenere in parte le spinte ribassiste, grazie a una certa capacità di tenuta dei consumi interni.
I mercati esteri hanno infatti evidenziato una sensibile riduzione nella loro capacità di assorbimento (-7.7% nel 2002 per il complesso della filiera pelle), intervenuta tuttavia dopo due anni per molti aspetti eccezionali in cui il fatturato estero della filiera si era incrementato di 30 punti percentuali.
Nel 2002 i comparti che hanno mostrato le frenate più evidenti sul fronte delle esportazioni sono stati il cuoio e la pelletteria (superiore al 10% il calo registrato in entrambi i casi) mentre il comparto delle calzature ha contenuto la flessione a meno di 6 punti percentuali esportando prodotti per poco meno di 8 miliardi di euro.
Il bilancio del fatturato estero degli ultimi tre anni rimane tuttavia ancora positivo in tutte le componenti della filiera. Come evidenzia la Figura 1 infatti, il macrosettore ha registrato, nel 2000, un netto salto di qualità nella propria vocazione all'export (in quell'anno, infatti, si è registrato un incremento prossimo al 22% delle esportazioni). Nel 2001, pur in un contesto di progressivo rallentamento della domanda estera rivolta alle aziende italiane, è stato poi possibile consolidare ulteriormente quei risultati. Le flessioni registrate nel 2002 non possono quindi destare commenti eccessivamente preoccupati sulla capacità di competere con successo sui mercati esteri delle nostre aziende, sia perché non erodono completamente i risultati dei due anni precedenti, sia perché avvenuti in un contesto di netto rallentamento della domanda estera rivolta all'Italia.
Le preoccupazioni aumentano invece se si guarda all'andamento dei flussi in entrata: dal 1995 a oggi il valore delle importazioni di cuoio, pelli e calzature è raddoppiato superando abbondantemente, nel 2002, la soglia dei 6 miliardi di euro. Il 50% di questi flussi riguarda le calzature, ma anche le importazioni di pellami (circa 2.3 miliardi di euro nel 2002, rispetto agli 1.5 miliardi del 1995) e di pelletteria (831 milioni di euro lo scorso anno rispetto ai 351 milioni del 1995) hanno mostrato una forte dinamicità negli ultimi anni, crescendo a un ritmo medio annuo del 10% (Tabella 2).
Il contributo pesantemente negativo del commercio estero è stato compensato, lo scorso anno, da una relativa capacità di tenuta del mercato domestico. Nel 2002, infatti, sia i consumi finali di pelletteria, sia quelli di calzature si sono mantenuti relativamente dinamici, crescendo entrambi a ritmi prossimi al 5% in termini di spesa complessiva. Decisamente meno brillanti sono risultati gli andamenti delle quantità, ma ciò nonostante non è venuto meno un certo sostegno all'attività produttiva in tutti gli anelli della filiera.
IL SETTORE PELLI E CONCIA
Nel comparto a monte della filiera pelle i segnali di inversione di tendenza sono risultati già molto evidenti nella seconda parte del 2001. Già nell'estate di quell'anno, infatti, dal commercio estero sono iniziati a provenire evidenti segnali di rallentamento (sia le esportazioni sia le importazioni hanno infatti cominciato a palesare forti flessioni tendenziali) e la combinazione fra i livelli relativi dei flussi in entrata/uscita e della velocità del rallentamento si è tradotta, già due anni fa, in un sensibile deterioramento (-6% circa) dell'attivo commerciale del settore pelli e concia (1.628 milioni di euro, in base ai dati ISTAT). Tale rallentamento è risultato tuttavia ancora più evidente nei dati medi annui relativi al 2002 che segnalano esportazioni in flessione a ritmi superiori al 10% e un saldo commerciale in flessione di 124 milioni di euro.
Il dettaglio dei flussi per paese (disponibile per un'aggregazione non esattamente coincidente con la precedente, ma che consente l'analisi in dettaglio dell'andamento dei diversi mercati) mostra flessioni significative nei flussi in uscita per sette dei dieci maggiori mercati di destinazione della produzione italiana di cuoio e pelli.
Le esportazioni dirette a Hong Kong (snodo commerciale per numerose triangolazioni che interessano, tra l'altro, il colosso cinese) hanno subìto una flessione superiore al 6%, mentre il fatturato realizzato negli Stati Uniti si è ridotto a un ritmo più che doppio. Molto deludenti si sono dimostrati anche i risultati ottenuti sui maggiori mercati UE: Francia e Germania hanno infatti ridotto i loro acquisti a ritmi abbondantemente superiori al 20%. Dei primi dieci mercati di sbocco per il cuoio e le pelli made in italy, solo Romania e, soprattutto Polonia, hanno continuato a incrementare la loro capacità di assorbimento. Evidente in questi due casi il ruolo giocato dalla delocalizzazione produttiva dei settori a valle.
Per quanto riguarda i flussi in entrata, al di là di una certa tenuta che ha caratterizzato le importazioni provenienti dal Brasile (il maggiore fornitore dell'industria italiana) e dalla Russia (quinto fornitore del mercato italiano), cali consistenti hanno interessato gli arrivi da tutti i rimanenti paesi, con punte superiori ai 20 punti percentuali per Francia, Stati Uniti, Regno Unito, India e Spagna.
In questo contesto di commercio estero, e a fronte di un progressivo affievolimento della capacità di assorbimento dei principali settori clienti nazionali, l'attività produttiva del comparto della lavorazione del cuoio si è chiusa (secondo l'ISTAT) con una flessione produttiva del -3.2%.
Qualche segnale positivo (mai come in questa fase, da valutare con la massima cautela) sembrerebbe provenire dall'indicatore ISTAT relativo agli ordinativi che segnalerebbe l'inizio di un percorso di recupero nella parte finale dello scorso anno.
La stagnazione dei consumi finali di prodotti moda che caratterizza, in questi mesi, alcuni fra i principali mercati di sbocco della produzione italiana (Germania e Stati Uniti su tutti, ma anche in Francia l'indice di fiducia dei consumatori è crollato ai livelli più bassi dal 1997), assieme alle evidenze non meno incerte relative al mercato italiano, rimandano ormai alla parte finale del 2003 le speranze di avvio di un percorso di ripresa anche in questo segmento del sistema moda italiano.