I numeri dicono che nei primi sei mesi di quest'anno, il fatturato consolidato del gruppo Marzotto è stato di 832 milioni di euro, in diminuzione del 3,7 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2001 (863 milioni). I numeri dicono ancora che, per l'intero esercizio 2002, si prevede una crescita del fatturato del 3 per cento, consolidando i sette mesi di Valentino.
Sempre i numeri, dicono che gli utili operativi dell'intero esercizio dovrebbero aggirarsi intorno al 7-8 per cento del fatturato (contro il 10,5 del 2001) e sono in aumento rispetto al 4,7 dei primi sei mesi di quest'anno.
Questo dicono i numeri del gruppo che, però, resta al centro dell'attenzione del popolo degli analisti, più per le notizie di contorno che per la bordata di ebit e ebitda, anticipata la settimana scorsa alla comunità finanziaria, riunita in piazza Affari per la presentazione del nuovo piano industriale triennale. Notizie che riguardano la possibile fusione di Marzotto con Zignago. Gli analisti la definiscono #possibile', perché la strada della conclusione è costellata di ostacoli piuttosto seri.
In attesa che si chiariscano gli aspetti finanziari e azionari, il piano industriale procede sulle linee guida indicate dall'amministratore delegato Antonio Favrin: più abbigliamento meno tessile, e rilancio in grande stile, della griffe Valentino.
Il tessile, nei primi sei mesi di quest'anno, ha visto calare il fatturato del 20,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2001. A portare questo risultato è stato un mix di cause: il mercato in generale è in flessione sono cresciuti i costi delle materie prime e sono diminuiti quelli delle vendite; molti stabilimenti del gruppo vicentino sono in fase di ristrutturazione e, non ultimo, la vecchia e cara coperta Lanerossi, è sempre più sopraffatta dalla concorrenza del più giovane e pratico piumone.
Così a Valdagno si preparano a estinguere, o quantomeno a ridurre drasticamente, il business, che, ha detto Favrin agli analisti «è ormai poco rilevante. Comunque Marzotto non esce dal tessile, non ci sono motivi per cederlo. C'è un appannamento, è vero, focalizzato sui tessili lanieri, mentre il resto guadagna. Dovremo affrontare una fase delicata con delocalizzazioni e altro».