L'ultimo attacco sta per sferrarlo Giorgio Armani. Che alla fine di ottobre volerà per la prima volta nella sua vita in Cina per inaugurare di persona una nuova boutique a Pechino. Poi il 31 ottobre, si trasferirà a Hong Kong per il grande opening di Armani/Chater House, l'avveniristico megastore multi marchio da 3mila metri quadrati che lo stilista italiano ha costruito nel cuore della città. «Abbiamo scelto Hong Kong perché oggi è una delle città più dinamiche e cosmopolite del mondo e perché grazie al suo speciale status giuridico e commerciale è una porta d'ingresso per la Cina», ha spiegato Armani.
Cosa stanno facendo i grandi della moda e del lusso italiano per conquistarsi una fetta di questo pubblico? Tante cose ma in ordine sparso. C' è chi come Zegna, dopo oltre dieci anni di massicci investimenti nel Paese si è costruita una forte rete distributiva diventando di gran lunga la principale griffe italiana in Cina. Chi, come Ferragamo, ha raggiunto dimensioni ragguardevoli ma ora che è venuto il momento di andare ad aprire negozi fuori dalle grand� città preferisce essere prudente a valutare bene eventuali partnership.
Chi come Armani, dopo aver scommesso pesante su Hong Kong, prevede di aprire tra i 20 e i 30 nuovi negozi in Cina nei prossimi cinque anni. Chi, come Gucci e Bulgari, pensano che i tempi non siano ancora maturi per la grande offensiva cinese e preferiscono restare arroccati a Hong Kong dove i profitti sono elevati e non si corrono i rischi di brutte avventure nel Mainland. Dove, più volte in passato, molte griffe occidentali si sono già scottate le dita.