Nelle previsioni elaborate pochi giorni fa sono stati costretti a rivedere al ribasso le stime di tre mesi prima su fatturato ed esportazioni. Per gli esperti di Hermes Lab che hanno curato i Fashion economic trends per conto della Camera nazionale della moda italiana, in occasione delle sfilate e delle presentazioni di Milano moda donna, quelli che erano soltanto rischi nel mese di giugno si sono trasformati in dura realtà: a frenare le attese del sistema moda è stato soprattutto il rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro, che si traduce in una perdita secca di competitività per il made in Italy in senso allargato.
Dal tessile all'abbigliamento, dalla pelle alla pelletteria e alle calzature, tutto il settore (che dà lavoro complessivamente 963mila addetti, pari al 18,1% dell'occupazione manifatturiera nazionale) sta vivendo un momento di grave difficoltà, dal quale nessuno sa bene come sarà possibile riemergere. Anche perché, secondo Hermes Lab, il nuovo rapporto tra moneta unica e biglietto verde «è volto a permanere nel tempo e a rappresentare, quindi, un fattore strutturale di cui tenere conto anche per il prossimo anno: a parità di tutto il resto, la rivalutazione dell'euro già avvenuta negli ultimi mesi può far perdere circa 1,5 punti percentuali di crescita del fatturato del tessile-abbigliamento nel 2003».
L'analisi evidenzia che «nell'area dell'euro si assiste, complessivamente a una preoccupante discesa dell'elasticità dei consumi alla crescita del Pil, presumibilmente dovuta alla durezza delle politiche fiscali negli anni '90. Negli Usa, questa discesa è strutturale a preoccupa in quanto gli Stati Uniti rappresentano l'unico mercato di sbocco della moda a crescita corrente a prospettica superiore alla media».
A proposito di export, è interessante analizzare l'evoluzione dell'ultimo decennio: sempre in crescita fino al '99, quando è stata registrata una flessione, poi di nuovo in aumento per due anni, con una previsione di flessione per il 2002. Impressionante l'accelerazione delle importazioni: per il 2002 si stima uma chiusura a quota 263,1. Un'altra conferma, insomma, della perdita di competitività del made in Italy, costretto a fare i conti con una concorrenza sempre più agguerrita da parte dei Paesi emergenti che, spesso, beneficiano altresì della maggior apertura dei mercati da parte dell'Unione europea.