Con tutta probabilità non fu vera crisi, quella del lusso, cominciata in sordina all'inizio del 2001, emersa più chiaramente in primavera e poi, secondo i più, instradata verso un baratro sull'onda emotiva, nel dopo 11 settembre.
E i primi segnali concreti erano lì pronti a supportare questa tesi. A settembre e ottobre negli Usa, che con circa un terzo della spesa complessiva mondiale rappresentano un polmone indispensabile dell'alto di gamma, il sell-out delle più raffinate vetrine accusava sull'anno precedente un ripiego del 40%.
Contemporaneamente i viaggi, in particolare quelli transcontinentali, erano oggetto di un brusco tracollo, che praticamente azzerava le vendite nei duty free shop.
Subito dopo la situazione migliorava, certo, ma solo fino a un certo punto. A detta di Carlo Pambianco, noto consulente del lusso made in Italy, nell'intero 4� trimestre i punti vendita diretti delle griffe del settore subivano in media una contrazione delle vendite del 15 % a livello mondiale e del 20% negli Stati Uniti.
Se dunque si considera che per il lusso a fine maggio si è simbolicamente conclusa una sorta di annus borribilis, a conti fatti i danni appaiono più che contenuti.
In quanto alle aziende di matrice italiana, Pambianco ha raccolto per il 2001 i dati di 26 tra le maggiori aziende del tradizionale lusso per la persona (abbigliamento, calzature, pelletteria, gioielli, orologi, occhiali e profumi). La crescita media dei fatturati, complessivamente attestatisi su 19,2 miliardi, è stata del 16,6%, per circa la metà attribuibile al consolidamento delle acquisizioni e per il resto di natura endogena.
Secondo Pambianco, lungi dall'essere in relazione a problemi di mercato, il peggioramento del profilo reddituale va imputato a due ragioni: alle maggiori quote di ammortamento – causa i più recenti shopping aziendali – e agli investimenti portati avanti sui marchi acquisiti. Passando ai primi tre mesi del 2002, a giudicare dal dati in possesso di Pambianco, l'incremento medio di fatturato del panel è stato del 7,5%, con un moderato contributo delle acquisizioni. Sul fronte degli utili, si assiste ancora a una tendenziale contrazione, sempre però legata all'indotto dell'attività di merger & acquisition.
Tornando al presente, per Pambianco a una domanda piatta fa da contraltare un'offerta propensa a discriminare tra le diverse realtà. Le grandi aziende sono in generale favorite rispetto alle minori, le quali sarebbero le prime a essere escluse dal negozi plurimarca, che costituiscono lo sbocco naturale dei loro prodotti; in più non avrebbero «le risorse per concedersi un momento di attesa e per poi passare a reagire».