Domenico De Sole vuole sistemare un po’ di concetti, in questo momento di crisi dei mercati del lusso e di Borse sottosopra. E in questa intervista mette in fila il mondo della moda dietro a un nome: Gucci, ovviamente, l'azienda che guida dal 1994, cioè da quando è uscita dall'orbita della famiglia fondatrice e si è avviata a essere uno dei fenomeni della Borsa globale della seconda metà degli anni Novanta, del lustro della grande bolla. Il modello Gucci, sostiene De Sole, funziona anche nei tempi duri. Qui, il Ceo difende strategie e primati suoi e di Tom Ford, lo zar creativo del gruppo.
Nella classifica 2001 del reddito operativo delle società del lusso non siete al top. Cosa succede? «Vorrei rettificare questa idea. Per i nostri bilanci, utilizziamo sistemi contabili americani. Perciò ammortizziamo il trademark (la differenza tra il costo delle acquisizioni e il loro patrimonio) diversamente da molte aziende europee. In 20 anni, come ci ha chiesto la Sec (il corrispettivo Usa della Consob, ndr). Prada, per esempio, lo ammortizza invece in 40 anni e Lvmh, grazie al sistema contabile francese, non lo ammortizza affatto».
Quale sarebbe, dunque, la vostra classifica delle redditività 2001? «Se confrontiamo gli Ebitda, cioè gli utili prima degli ammortamenti, Gucci è al 15,5% del fatturato, Lvmh al 12,8, Prada al 9,6, Bulgari al 13,4, Armani al 13,6. Tod's al 17,6%. La nostra redditività resta altissima. Tra i grandi gruppi, siamo di gran lunga noi a fare i profitti più alti».
Siete compratori in questo momento? «Abbiamo più di 1,5 miliardi di euro di cash. Se ci saranno opportunità compreremo». Siete pentiti della strategia multibrand? «Al contrario. Noi siamo un gruppo del lusso quotato in Borsa. Perciò dobbiamo mettere assieme l'esigenza di non deprezzare i marchi, e quindi non lanciarli downmarket e rispettare i loro limiti fisiologici di crescita, con l'obbligo di crescere. La strada è quella di avere più marchi e lavorare su di essi, come stiamo facendo con Ysl».
Pinault ha promesso un'Opa su Gucci a 101 dollari nell'aprile 2004. Ma i mercati sembrano dubbiosi. «L'aspettativa del management è che non ci sia alcuna Opa. In questo momento di mercati aberranti, il titolo è sui 90 dollari, dopo essere stato a lungo a 95. Noi lavoriamo affinché nei prossimi due anni l'azione vada oltre i 101 dollari. Certo che, in questo momento, può darsi che la prospettiva di Opa contribuisca a sostenere il titolo».