Stop alla scorpacciata di fusioni e acquisizioni. Il mondo del lusso frena dopo il vorticoso shopping degli ultimi anni: nella prima parte del 2002 sono state appena due le operazioni, per un valore di 352 milioni di dollari, rispetto alle 15 dell'intero anno precedente, che pesavano per 7.499 milioni di dollari. Una cifra enorme, ma più bassa rispetto all'anno record per gli accordi di merger and acquisition, il '99, quando nel lusso furono totalizzati 24 passaggi di controllo per ben 9.461 milioni di dollari.
Ma qual è il motivo di questo brusco stop? Essenzialmente le difficoltà nell'integrazione dei marchi acquisiti, il cui denominatore comune sono le pesanti perdite di bilancio: per citare solo i più celebri, da Yves Saint Laurent per Gucci Group a Valentino per HdP, da poco passata sotto il controllo della Marzotto; da Gianfranco Ferrè e Romeo Gigli per It Holding al ‘portafoglio’ formato da Jil Sander, Church's, Genny, Helmut Lang, Azzedine Ala�a per Prada Holding.
Gli investimenti necessari per rivitalizzare marchi prestigiosi ma quasi sempre in deficit sono infatti ingenti. E, troppo spesso, diluiscono i profitti della controllante. Il che in un mercato dove cresce l'interesse per la quotazione in Borsa, a dispetto del difficile andamento dei listini azionari in tutto il mondo, si rivela ovviamente un fattore di criticità. Quel che è certo è che il collocamento, a giorni si attende il debutto di Prada mentre il 12 luglio andrà in Borsa Burberry, è un segnale di trasformazione del business legato alla moda e al lusso, con il superamento del capitalismo familiare indispensabile per chi vuole competere con una massa critica adeguata ai big.