Un 2002 di transizione, con una svolta forse da Natale e comunque dall'inizio dell'anno successivo. Poi, dal 2004, una ripresa vera e propria anche per l'alta gamma, che comprende le aziende eccellenti del made in Italy: dalla moda all'arredo-design, dal l'alimentare alla gioielleria-orologeria, dall'hotellerie ai motoscafi. Ieri a Milano, in occasione del decimo compleanno di Altagamma, le 43 imprese associate (fatturato di 11,5 miliardi di euro, di cui il 74,8% al l'export, con 3.500 punti vendita monomarca), hanno parlato del futuro.
«Siamo alle prese, ha detto Francesco Trapani, amministratore delegato di Bulgari e vicepresidente di Altagamma, con l'incertezza economica mondiale, lo scoppio della bolla della new economy, i tragici eventi dell'11 settembre e, da ultimo, lo scandalo Enron. La ripresa del turismo, tuttora penalizzato, sarà indispensabile per un recupero a lungo termine: il 30% degli acquisti di prodotti di lusso avviene nell'ambito di viaggi al di fuori del proprio mercato di riferimento: di questi, il 10-15% sono giapponesi e il 7-8% americani. Comunque siamo ottimisti, seppur con cautela: secondo Deutsche Bank, i mercati tradizionali come Europa, Usa e Giappone registreranno una crescita del 4-5% annuo, mentre si aprono nuovi sbocchi che, pur pesando appena per il 10% del business, aumentano a ritmi del 40% l'anno, come Russia e Cina».
Altro tema critico è la contraffazione. «Va ribadita presso le sedi istituzionali, ha detto Santo Versace, amministratore delegato della Versace e fondatore di Altagamma, l'importanza di potere contare su regole rigide e applicate correttamente a tutela delle opportunità di sviluppo delle nostre imprese». Argomento caldeggiato pure da Carlo Guglielmi, a.d. di Fontana Arte: «La legge sulla proprietà di disegno industriale è ferma al Senato, ma le nuove norme servono al più presto. Non capisco perché chiediamo le impronte digitali a chi viene da certi Paesi e non chiediamo certificati per i prodotti: nel design i falsi cinesi sono arrivati a una tale sofisticazione che riproducono anche parti di prodotti esportati negli Usa e che rientrano in Europa con Iva inferiore. è inaccettabile».