Per rispondere a una delle domande che assillano la moda italiana – se le logiche industriali dei gruppi mortificano o meno la creatività – si potrebbe dare un'occhiata a Mila Sch�n. Sino a due anni fa, un gioiello di stile con i conti in profondo rosso; poi i giapponesi della Itochu trading company, che avevano rilevato l'azienda dalla signora Sch�n nel '93, hanno deciso di cederla a Mariella Burani Fashion Group.
In due esercizi è stato raggiunto il pareggio di bilancio. Artefice di questa «corsa in avanti» è l'amministratore delegato Fabrizio Malverdi, approdato nel gennaio 2000 , dopo aver diretto per Burani la divisione Calvin Klein e aver seguito passo passo tutte le recenti acquisizioni del gruppo.
I conti sono a posto. E ora?
« Per il futuro, la missione è perfezionare il prodotto con obiettivi strategici: ad esempio, aver inserito nella prima linea una collezione di capi in maglia (circa 60 pezzi prodotti da un'azienda del gruppo, la Gabriella Frattini di Fano), ci ha consentito di acquisire nuovi clienti. Puntiamo molto anche sulla collezione bimba: due linee, una più sportiva, dai 6 ai 14 anni e l'altra elegante (4-12 anni), secondo lo spirito suggerito dalla signora Sch�n: niente estremizzazioni, una bambina che sia effettivamente tale. A produrla sarà la Gimel, di Putignano. Per il profumo ci siamo invece affidati a Eurocosmesi, una società del gruppo Guaber.
Tra i vostri obiettivi strategici rientra anche il mercato Usa?
«La decisione di non entrare nel mercato americano è frutto di una precisa scelta. Preferiamo concentrarci sui nostri mercati primari: il Giappone, che copre il 30% del fatturato (con i prodotti non concessi in licenza), il Far East, l'Europa, ovviamente l'Italia. Qui valorizzeremo il negozio di via Manzoni, a Milano, rendendolo sede di eventi. Come la mostra allestita durante il recente Salone del mobile, che ha esposto abiti Mila Sch�n degli anni '60-'70».