Nella moda europea un’impresa su due parla italiano. Le aziende che producono abbigliamento in Italia sono 36mila e per arrivare allo stesso numero bisogna mettere insieme gli altri 14 Paesi dell’Unione Europea.
Tuttavia, tra il ’90 e il 2000 , secondo le statistiche del Centre international du textile-habillement e di Euratex – il fatturato di abbigliamento spagnolo è cresciuto del 122% contro il 38% dell’Italia. Così, il fatturato medio per addetto è più che raddoppiato in dieci anni (+102%) arrivando a 54.749 euro. L’italia è molto più avanti, a 97.639 euro per addetto, soprattutto perché la moda prodotta nella Penisola si vende per lo più nella fascia alta del mercato: però la crescita in dieci anni è stata del 41,5% , meno della metà rispetto al concorrente latino e all’industria britannica (+114,5% a 73milaeuro).
Il valore più alto è in Germania, spinto oltre i 133mila euro (+72%) da una massiccia delocalizzazione nei Paesi dell’Est che ha lasciato sul suolo tedesco poca produzione e tanto marketing e distribuzione. Nel complesso, dunque, l’Italia è sopra la media europea, ma cresce lentamente rispetto al 51,4% dell’Unione.
Il primato italiano è ancora saldo e con 27.924 milioni di euro vale il 35% dell’intero fatturato europeo, contro il 13% della Francia, il 14,7%della Germania o del Regno Unito e appena il 9,1% della Spagna . Per l’Italia, però, è poco rispetto al numero delle aziende – infatti ognuna di queste ricava in media 775milaeuro- e molto rispetto agli occupati (che sono il 28, 6% del totale europeo), con un beneficio per il fatturato medio per addetto.
C’è però qualche segnale preoccupante per il futuro. Il nostro Paese assorbe il 41% di tutti gli investimenti europei del settore, ma in un decennio la media per addetto è scesa del 20%, a 2.312 euro.
In dieci anni, l’industria nazionale della moda è sembrata quasi indifferente ai grandi cambiamenti dell’economia internazionale e anche se ha saputo consolidare la sua leadership, è rimasta un’industria frammentata. Negli stessi dieci anni, infatti, gli scambi di abbigliamento nel mondo sono raddoppiati, ma la quota italiana si è quasi dimezzata: dall’11 al 6,6 per cento.