Bernard Arnault sostiene di voler portare Fendi, di cui ha la maggioranza dopo aver rilevato il 25,5% posseduto da Prada, a divenire nel giro di cinque anni una delle tre griffe di punta del Made in Italy. Al momento, però, il 2001 è stato archiviato con una perdita netta di oltre 200 milioni di euro su un fatturato consolidato di circa 265 milioni di euro. Un disavanzo accompagnato da un indebitamento di circa 200 milioni di euro.
Alla luce di queste cifre forse sarebbe da rivedere anche il prezzo pagato da Lvmh a Prada: 295 milioni di euro per il 25,5% comprato da Bertelli, con una valutazione complessiva della maison di 1.157 milioni di euro. Sommando i 200 milioni di euro di debiti e considerando un fatturato di 265 milioni si arriva a un multiplo enterprise value/sales di 5,1, ben più alto rispetto a 3,4 volte della media dei titoli del lusso ‘core’ individuati da Morgan Stanley (Gucci, Bulgari, Hermès, Lvmh, Richemont Luxury e Christian Dior).
Il marchio ha comunque forti potenzialità grazie alla tradizione di alta pellicceria e pelletteria artigianale che lo rende uno dei pochi ‘realmente’ di lusso nel settore. Nei 18 mesi di joint venture Prada/Lvmh il lavoro si è concentrato sul retail, portando da 4 a 83 i negozi monomarca. Resta ancora molto da fare. Tra gli obiettivi che Arnault ha assegnato a Giancarlo Di Risio, amministratore delegato da febbraio dopo aver guidato per 15 anni It Holding, c’è anche il ‘ritocco’ dell’organico, dove compaiono in posizioni di grande rilievo ben una dozzina di membri della famiglia romana.