Dopo un decennio di crescita esponenziale, il settore della moda ha subito un arresto improvviso. Sicuramente questa crisi metterà alla prova un settore che negli ultimi cinque anni è stato sottoposto a profonde trasformazioni e che ha visto la nascita di un gruppo di conglomerate multimarca che hanno fagocitato aziende minori.
Giorgio Armani, l’uomo che ha creato una delle griffe più famose nel mondo, è orgoglioso di avere resistito agli eccessi degli anni ‘90. Non ha venduto il proprio nome, non ne ha acquistati altri, e tra le grandi griffe dell’alta moda la sua è una delle poche che hanno mantenuto l’indipendenza.
La coerenza di Armani, negli affari come nel design, potrebbe dimostrarsi un punto fermo nelle tempeste odierne. Anche se il suo fatturato negli Usa è in calo del 20% dall’11 settembre, lo stilista si aspetta di raggiungere l’obiettivo di un incremento del 20% nel fatturato del 2001, un risultato che supera ampiamente la media di molti concorrenti più grandi.
In un’intervista con Deborah Ball, corrispondente a Milano del Wall Street Journal Europe, Armani parla del futuro del settore.
Come va il gruppo Armani dopo l’11 settembre?
‘’Per quanto riguarda le vendite negli Usa, abbiamo avuto un calo di circa il 20%. L’area di New York è stata la più colpita, mentre gli effetti sono stati minori nella West Coast. L’Europa si è mantenuta stabile, con i suoi punti di forza in Italia, Gran Bretagna e Francia. Anche il Giappone si è mantenuto stabile, mentre la Corea è in crescita. Comunque siamo contenti di poter dire che ci aspettiamo ancora di raggiungere l’obiettivo di un aumento di almeno il 20% nel fatturato del 2001.
In generale, le aziende più danneggiate sono quelle che contavano di più sulle vendite legate al turismo e ai viaggi. Noi non ci siamo mai concentrati troppo su questo tipo di mercato perché ci occupiamo principalmente di abbigliamento, che è più difficile da vendere nei negozi duty-free’’.
Quali sono le risorse che vi aiuteranno a superare questa crisi?
‘’Il gruppo Armani ha un cash flow molto positivo. In generale, noi continuiamo la nostra strategia di controllare maggiormente i nostri affari. Non abbiamo annullato nessuno dei 21 progetti di apertura di nuovi negozi previsti per l’anno prossimo. Stiamo mantenendo costanti le spese pubblicitarie (circa il 10% del fatturato), perché siamo convinti che si tratti di un investimento fondamentale per il successo a lungo termine del nostro marchio’’.
Vi sono altre aree in cui è possibile economizzare?
‘’Un fattore che stiamo analizzando attentamente è quello delle spese per il personale, che negli ultimi anni sono cresciute indiscriminatamente. Stiamo considerando la riduzione del numero di addetti in alcune zone e stiamo facendo ricerche di mercato per eliminare le eventuali sovrapposizioni’’.
Secondo lei quanto durerà la crisi?
‘’Negli Usa le vendite di alcuni fashion group sono in calo del 40-50%; sono cifre da capogiro, anche perché non è possibile prevedere quando si riprenderanno. Possiamo presumere che, se non succederà nient’altro, ci vorranno almeno i primi sei mesi del prossimo anno. Ma non so che si ritornerà ai livelli precedenti. Per riprendersi da una crisi di questo, tipo ci vuole tempo, semplicemente perché l’entusiasmo della gente non ritorna tanto in fretta’’.
Il modello delle conglomerate è preparato ad affrontare questa crisi?
‘’Negli ultimi anni era di moda acquisire altri marchi. Se non compravi qualcosa non eri nessuno. Adesso molti pagano il prezzo di questa moda sconsiderata. Chi ha comprato molti marchi, oggi è maggiormente in difficoltà, perché i clienti stanno cercando rifugio nei marchi più noti. Molti gruppi multimarca stanno tentando di rilanciare i marchi che hanno acquisito, ma in un clima economico negativo ciò non
è sempre facile, o addirittura possibile.
Tuttavia è difficile credere di poter ritornare al modo in cui si lavorava negli anni ‘70, quando per i piccoli gruppi era più facile restare indipendenti. L’attuale pressione sul settore dei beni di lusso porterà sicuramente a una razionalizzazione. Ne abbiamo già visto alcuni indizi. La difficoltà di mantenere stabilimenti, negozi e altre spese generali metterà in crisi le aziende che già hanno problemi a competere con i gruppi più grandi. Per sopravvivere, dovranno accontentarsi di piccole nicchie di mercato, oppure rassegnarsi a vendere ai gruppi più grandi’’.
sintesi dell'articolo di Deborah Ball a cura di Pambianconews