La crisi Usa? «Si farà sentire poco perché il gruppo Benetton è esposto soltanto per il 10-12% negli Stati Uniti». Il costo del denaro quasi gratis? «E’ l’occasione per rilanciare gli investimenti e fare acquisizioni». La concorrenza di Gap e Zara, che sono pronti a sbarcare in Italia? «Non ci spaventa. Il nostro obiettivo è avere 300 megastore entro il 2004».
Luigi De Puppi, dal mese di maggio al timone del gruppo Benetton e con un passato in Electrolux Zanussi e in Montedison, spiega in un’intervista a Milano Finanza il futuro della società di abbigliamento di Treviso che in 35 anni di storia ha cambiato pelle più volte e ora guarda anche a Turchia, Cina e India come ai nuovi mercati su cui scommettere.
D.L’11 settembre e il crollo dei titoli fashion in borsa hanno fatto saltare i piani di molte società. Benetton sta mettendo a punto una ricetta anti-crisi?
R.L’esposizione in Usa pesa per il 10-12%, mentre quella in Asia meno del 10%. Ma, visto la grossa liquidità immessa dalle autorità bancarie sui mercati, ci sono tutte le premesse per far partire l’economia mondiale. L’impatto sarà dunque limitata e non abbiamo rivisto sostanzialmente le stime al ribasso. Per fine 2001 le previsioni indicano un giro d’affari a quota 2,1 miliardi di euro e un utile in lieve flessione. Per quanto riguarda la débàcle dei titoli del lusso, Benetton rimane molto sottovalutato rispetto ai fondamentali.
D.Il costo del denaro sempre più basso sta incentivando gli investimenti del gruppo?
R. Finora abbiamo già investito oltre 1000 miliardi nel settore dell’immobiliare e ne abbiamo pianificati altri 400 per il prossimo anno. Grazie ai tassi vantaggiosi, i progetti di espansione e l’apertura di nuovi stare hanno subito un’accelerata. Stiamo puntando molto sul retail che sta dando soddisfazioni anche se è ancora un segmento in fase di start-up. Ma lo sforzo del gruppo e rivolto a 360 gradi e sta prendendo in considerazione tutti i settori del prodotto.
D. I processi di antiglobalizzazione rappresentano un pericolo per Benetton group?
R. Non corriamo rischi di questo tipo perché la maggior parte dei 110 milioni di capi la produciamo in paesi europei. L’azienda, inoltre, ha una politica di produzione molto chiara che non lascia spazio a fraintendimenti.
sintesi dell’articolo di Manuela Brambati a cura di Pambianconews