Servono più controlli sui capi di abbigliamento che dall’estero arrivano nell’Unione Europea. E’ questo il messaggio che proviene dal convegno sulle etichettature, svoltosi ieri sera a Milano e organizzato da Sistema Moda Italia, l’associazione di categoria degli imprenditori della moda e del tessile-abbigliamento. I controlli in Italia sono pressoché inesistenti. E’ molto difficile riuscire a risalire all’origine del capo di abbigliamento: capire, cioè, dove sia stato fabbricato, da chi e con quali materiali.
Come spiega Vittorio Giulini, presidente di Smi, “oggi il consumatore può risalire all’origine di quasi tutti i prodotti che acquista, dai generi alimentari alle automobili. Ma non riesce a sapere da dove provengono molti capi che, essendo a contatto diretto con la sua pelle, possono procurargli grave danno alla salute”. Giulini ricorda il rischio legato ai coloranti azoici, notoriamente cancerogeni, di basso costo e quindi utilizzati per colorare i prodotti fabbricati nel Terzo Mondo. Nonostante la loro pericolosità, i capi contenenti coloranti azoici vengono tranquillamente venduti in molti Paesi europei, tra cui l’Italia. “Bisognerebbe che nell’intera Unione Europea venisse almeno applicata la normativa tedesca, che oggi è la più rigorosa” dice Giulini.
Giulini mette in guardia: “Un qualunque produttore con pochi scrupoli può facilmente inviare in Europa stock di magliette, camicie, lenzuola contenenti sostanze nocive alla salute. E un controllo non riuscirebbe a stabilire da chi è stato realizzato il prodotto. Per questo va ripensata immediatamente la norma del ‘Made in…’, insieme con il codice dell’esportatore nell’Unione Europea e l’etichettatura di sicurezza per il consumatore”.
Le industrie della filiera tessile italiana, anche quelle che hanno delocalizzato parte delle loro lavorazioni, sono certamente in grado di garantire la massima sicurezza. Quella sicurezza che altri prodotti, fabbricati non si sa dove da non si sa chi con non si sa che cosa, non possono offrire.
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