– GIANCARLO BERTI, NEO PRESIDENTE DEL CIRFS, RIELETTO ALLA PRESIDENZA DI ASSOFIBRE PER IL BIENNIO 2001-2002.
– CRESCONO ANCORA NEL 2000 LE PRODUZIONI MONDIALI DI FIBRE CHIMICHE (+6%) CHE RAGGIUNGONO IL 61.8% DI TUTTE LE FIBRE TESSILI UTILIZZATE NEL MONDO.
– CRESCE LA PRODUZIONE IN EUROPA ED IN ITALIA. GRAN BALZO DELLA CINA (+17.4%) CHE SI CONFERMA PRIMO PRODUTTORE MONDIALE.
Milano, 7 giugno 2001 – “Con una produzione mondiale di 32.7 milioni di tonnellate, le fibre chimiche sono cresciute anche nel 2000 (+6.0%) proseguendo un trend positivo che perdura ininterrottamente da 18 anni” dichiara Giancarlo Berti, Presidente di Assofibre e del CIRFS (Associazione Europea delle Industrie delle Fibre Chimiche) in occasione dell’Assemblea Annuale.
“Come al solito l’aumento della produzione, continua Berti, non è stato uniforme per tutte le aree mondiali. Consideriamo le 30 milioni di tonnellate di fibre sintetiche prodotte nel 2000.
Delle tre aree industrializzate tradizionali, l’Europa Occidentale ha fatto bene (+4%), USA (+1.1%) e Giappone (+0.9%) sono rimaste indietro. Insieme rappresentano solo il 29.2% della produzione mondiale.
Al contrario il “Resto del Mondo”, ovvero tutti gli altri Paesi mondiali, hanno registrato una ulteriore consistente espansione produttiva (+7.9%).
Ciò continua ad avvenire per effetto dei grandi investimenti, spesso sovvenzionati, realizzati in quelle aree (Asia in particolare). Va segnalato che gli enormi incrementi delle capacità produttive non correlati all’andamento dei consumi, hanno determinato una forte spinta all’export nelle aree occidentali a prezzi via via cedenti e spesso a livelli inferiori ai costi e a condizioni di dumping. Questi investimenti hanno altresì causato gravi perdite economiche specie in Corea ed Indonesia che dopo la crisi asiatica del ’97 hanno portato alla luce produttori con bilanci in profondo rosso.
La Cina si è confermata il più grande produttore mondiale di fibre sintetiche con una quota del 22.6% del totale.
Il 2000 come si è detto è stato un anno buono per l’Europa Occidentale le cui produzioni di fibre chimiche sono aumentate del 3.4% rispetto al 1999. Come già ricordato, le sintetiche da sole hanno totalizzato un aumento del 4%.
Anche l’Italia ha avuto un balzo produttivo (+8.1% rispetto al 1999). Si tratta di un rimbalzo tecnico dopo tre anni di decrementi produttivi. Infatti la produzione del 2000 (658.400 tonnellate) è ancora leggermente inferiore a quella del 1998 (663.500 tonnellate) e ben inferiore alle 700.000 tonnellate di produzione media ottenute dal 1990 al 1997.
Per finire le previsioni per il 2001 sono poco favorevoli. Nei primi mesi di quest’anno infatti il ciclo della produzione tessile è in fase di calo sia in Italia che in Europa.. Per noi europei esiste poi la componente Turchia che con i suoi gravi problemi finanziari subirà un drastico calo dei consumi interni.
Il rapporto di cambio, ritornato favorevole, ha portato ad una ripresa fortissima delle esportazioni turche a tutto svantaggio del tessile e dei produttori di fibra sia europei che italiani.
In aggiunta a questi problemi europei vi è la recessione americana e ci sono varie aree di crisi in giro per il mondo (Argentina, Giappone, ecc.) che fanno apparire il 2001 come un anno difficile.
“L’Italia – afferma Rino Bonomi, Presidente dell’Associazione Tessile Italiana, come è noto è l’unico Paese al mondo che vanta una completa ed efficiente filiera dalle fibre all’abbigliamento, con comparti a livello di eccellenza.
Nel momento in cui il sistema di rappresentanza del Tessile-Abbigliamento evolve in direzione di un compattamento – sottolinea Bonomi – con l’obiettivo di renderne il ruolo più incisivo, è importante ripristinare modalità organiche di collaborazione con Assofibre, nelle forme istituzionali che potranno essere di comune accordo definite”:
“Dal Sistema Moda viene al nostro Paese – sottolinea Vittorio Giulini, Presidente di Sistema Moda Italia – un nuovo modello di impresa: il Vertical Brand System, valido per tutte le imprese di successo, da quelle di massa fino al vertice del lusso. E’ il modello che unisce in una filiera integrata, oggi solo grandi gruppi o imprese di nicchia, domani speriamo in una rete di piccole e medie imprese; in tale modello:
– per l’industria, il modello di distretto che ha saputo superare la barriera delle PMI arrivando a creare nel suo stesso ambito imprese leader mondiali nei loro settori;
– nel design (il 75% dei beni culturali secondo le stime UNESCO sono in Italia) e questi rappresentano uno stimolo continuo al gusto e alla bellezza;
– nella distribuzione, la varietà delle città storiche che permette una sperimentazione continua di novità derivata dal nostro patrimonio culturale, da un patrimonio accumulato soprattutto nei quattro secoli dal 1250 al 1650 nei quali l’Italia è stata leader assoluta, economica e culturale del mondo europeo.
L’eccellenza non è una parola vuota – conclude Giulini – quando esiste in modo indiscusso e può essere espressa la massimo dei livelli e per non non vi è dubbio che la stessa deriva dalla stretta unione tra il passato e il futuro in modo da guardare al domani, al nuovo mondo globale come ad una nuova opportunità”.
“Quest’anno il commercio mondiale – sottolinea Fabrizio Onida, Presidente dell’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero, potrà crescere a tassi intorno al 6-7%, dopo la vivacissima performance del 2000 (+ 12,5%). Ciò riflette il brusco rallentamento statunitense, che da solo penalizza la crescita dell’area asiatica e latino-americana, non compensato purtroppo dalla congiuntura dell’Europa, anch’essa in rallentamento dal 3% al 2% circa.
L’euro debole favorisce le esportazioni europee, ma rappresenta un pericoloso palliativo rispetto ai nodi strutturali dell’Europa che ne fermano la crescita della domanda interna.
Le esportazioni complessive verso i terzi mercati pesano meno del 20% sul PIL dell’Europa dei 15, e comunque le esportazioni nette danno un contributo trascurabile alla crescita del PIL.
“Per rafforzare la propria competitività internazionale anche l’Europa – ricorda Fabrizio Onida – sia pure con ritardo rispetto a USA e Giappone, ha puntato sugli investimenti all’estero negli ultimi due decenni e l’Italia negli ultimi 15 anni.
La dinamica degli investimenti diretti esteri sopravanza ormai di varie lunghezze quella del commercio mondiale di merci e servizi.
Nel 1999 le vendite all’estero di tutte le affiliate delle imprese multinazionali hanno raggiunto 13.564 miliardi di dollari, contro i 6.892 miliardi delle esportazioni mondiali di beni e servizi.
Si può stimare che il commercio mondiale sia per due terzi riconducibile a operazioni di imprese multinazionali (che producono in più paesi), e che la metà di questi due terzi sia costituita da transazioni interne ai gruppi.
Storicamente – conclude Onida – gli investimenti diretti all’estero sono mossi innanzi tutto da strategie “market oriented” e solo in misura limitata da strategie di delocalizzazione “cost saving”. Ciò vale anche per quelli italiani – ancora limitati – anche se l’integrazione con l’Europa centro-orientale e con l’area Mediterranea hanno incentivato i
fenomeni di delocalizzazione produttiva “cost saving”, in particolare nei settori tessile-abbigliamento-pelle-calzature”